di Nuccio Rotolo
Il Ventennio fascista ancora oggi si presenta come ambito di studio ricco di spunti. Suscitano interesse, ad esempio, le complesse e talora oscure dinamiche istituzionali
che hanno presieduto l’idea dell’Architettura di Stato, la quale, riconoscibilissima nell’intero stivale, isole comprese, caratterizza l’immagine dello Stato su tutto il territorio nazionale. Porti, ferrovie, edifici postali, palazzi di Giustizia, Camere di Commercio e ogni altro edificio pubblico costruito in quegli anni, rispettano il carattere eclettico dettato dalla volontà autarchica di coniugare le istanze di classicità “romana e italica” alla modernità fascista.
L’indomani della caduta del Regime il processo di epurazione che ha colpito le maggiori cariche dello Stato ha fatto sì che alcune personalità di rilievo, considerate scomode solo da quelli che andavano al potere, scomparissero all’improvviso, senza lasciare traccia. E non è certo il caso di Marcello Piacentini. La storia e l’opera di Angiolo Mazzoni meriterebbero un capitolo nei manuali di storia dell’arte o di architettura, che tuttora lo ignorano. L’anziano ingegnere, prima di morire, mise in ordine le sue carte e le sue memorie e, grazie a Federico Zeri, le donò alla collettività.
Nel 1919 si laurea a Roma in Ingegneria civile; nel 1923 ottiene il diploma in Architettura e l’abilitazione all’insegnamento del Disegno architettonico presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna. Durante la Prima Guerra Mondiale è in servizio presso la Direzione del Genio militare di Bologna. Nel 1921 viene assunto nelle FFSS, prima alla Sezione speciale lavori di Milano, poi alla Divisione lavori di Bologna e infine, nel marzo 1924, trasferito a Roma, al Servizio lavori e costruzioni della Direzione generale delle FFSS. Dirigerà l’ufficio fino al 1945, curando la progettazione di numerose stazioni ferroviarie e tra i più interessanti edifici postali.
Accusato di progettare “architetture antifasciste” o “non in armonia con l’ambiente architettonico locale”, pur ricoprendo un incarico da funzionario dello Stato, gli fu molto difficile ottenere l’approvazione dalle varie commissioni e il benestare dei potentissimo
Costanzo Ciano.
Con l’appoggio di alcuni suoi superiori illuminati, e in taluni casi pure di Mussolini, riuscì a realizzare le stazioni ferroviarie di Siena, Montecatini Terme, Messina Centrale, Latina; le poste di Pola, Agrigento, Abetone, Ostia Lido, Palermo, Ragusa, La Spezia, Sabaudia, Latina; la centrale termica della Stazione di Firenze, la colonia marina del Calambrone, testimonianze dei suoi profondi legami con il movimento modernista e costruttivista internazionale.
Nel maggio del 1933 aderisce al Movimento Futurista impegnandosi a fondo nella polemica per la formazione di una “cultura nazionale fascista e per l’instaurazione di un’arte e un’architettura di Stato”, che vide contrapposti in questi anni neofuturisti, novecentisti e razionalisti. Mazzoni pensa, progetta e realizza un’architettura tra le più intelligenti che quel regime abbia mai partorito. Tutti i suoi edifici, dei quali curava ogni dettaglio, sono concepiti secondo i criteri del modernismo e del funzionalismo, eleganti e monumentali realizzazioni architettoniche sapientemente inserite nel tessuto urbano e caratterizzate dall’utilizzo colto ed elegante del “polimaterico e policromatico” come unico erede di Antonio Sant’Elia.
Nel 1948, epurato, si trasferisce in Colombia, accettando la cattedra di Architettura e urbanistica presso l’Università di Bogotà. Qui svolge un’intensa attività progettando un’architettura legata a quella tradizione locale e quell’ambiente, verificando le possibilità compositive e costruttive del colore. Rientra in Italia solo nel 1963 e si stabilisce a Roma, dove si dedica alla ricostruzione del suo archivio personale oggi conservato al MART di Rovereto. Muore il 28 settembre 1979.
Copertina: Angiolo Mazzoni, Stazione Termini, Roma