Giulio Cesare Croce. Un nome che (forse) dice poco finché non si menzionano tre personaggi nati dalla sua penna: Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno. Le avventure del popolano Bertoldo, tanto arguto da conquistarsi il diritto di vivere alla corte del re longobardo Alboino, costituiscono uno dei maggiori testi comici del Seicento, frutto di un pastiche di generi e linguaggi – anche dialettali – ispirato all’autore bolognese (Croce era nato a San Giovanni in Persiceto nel 1550) dalla tradizione, sia scritta che orale, che andava dai cantastorie alla Commedia dell’Arte.
Ben prima che i racconti di Bertoldo e dei suoi successori fossero dati alle stampe, però, Croce aveva licenziato tre curiosi libelli accomunati da un unico tema: il maiale.
Si parte nel 1584 con l’edizione originale della Canzone sopra la porcellina che si tra giù del Palazzo dell’Illustre Città di Bologna Per la festa di S. Bartolomeo stampata a Bologna da Alessandro Benacci. La breve operetta in versi, con frontespizio illustrato dall’immagine di un porco, è una canzone celebrativa dai toni giocosi, in cui si descrivono con vivace realismo eventi e situazioni che animano piazza Maggiore a Bologna il 24 agosto, giorno di San Bartolomeo e occasione per rievocare un celebre episodio della storia cittadina risalente al secolo XIII. Apice dei festeggiamenti era il lancio, giù dal parapetto del Palazzo comunale, di un maiale arrostito. In altre parole: una porchetta.
Caratteristiche e tratti distintivi di questo succulento dono sono doverosamente illustrati qualche anno dopo dallo stesso Croce nel suo L’eccellenza et trionfo del porco, impresso a Ferrara da Vittorio Baldini nel 1594. Illustrazione al frontespizio: ovviamente un porcello. Accanto alla ricerca etimologica del termine “porco”, a varie ricette a base di maiale e alle digressioni su attributi e virtù del nobile animale, trova un proprio spazio la menzione della festa bolognese. Si viene quindi a conoscenza del fatto che la porchetta gettata al volgo dalla balconata del comune fosse “di honesta grandezza… ben cotta, & cucinata, e piena dentro di bonissima robba, & di perfettissima speciaria”, con “un’odore tanto soave, e grato, che un mezo morto si risentirebbe”.
Nel 1599 Croce chiude questa Trilogia del Porco con un poema, più corposo rispetto alla Canzone del 1584, sempre dedicato alla ricorrenza della piacevoliss. festa della porchetta, che si fa ogn’anno in Bologna il giorno di S. Bartolomeo. Questa vera historia esce dai torchi degli eredi di Giovanni Rossi e, per il frontespizio, si sceglie non un’immagine generica del suino, ma quella del lancio della porchetta, momento culminante di abbuffate mangerecce che duravano già da parecchi giorni. E sempre all’insegna del maiale! Scriveva infatti Croce nel già citato trionfo: “Di quattro, ò sei giorni inanzi la festa di S. Bartolomeo, gli illustri Signori Antiani mandano fuora à trovare una gran quantità di Porchette, & le fanno cuocere, & ne mandano à presentare a molti Signori, & Signore, & à donne gravide, & à loro parenti, amici, & altri simili”.
Il porco è servito.
Copertina: Giulio Cesare Croce, La vera historia della piacevoliss. festa della porchetta, Bologna, Heredi di Gio. Rossi, 1599