È lunedì, i codici di accesso non funzionano, il sistema operativo non risponde. Spegnete e riaccendete. Nulla. Poi arriva la mail terroristica che abbiamo imparato a conoscere bene: sembra che il tuo account sia stato violato. No, dai! Ma è vero? Me ne devo occupare, quindi. Già. Si chiama sindrome del lunedì anche per quello. Macché sindrome del lunedì. Siamo e siete dentro una puntata di Black Mirror e serviranno nuovi codici per uscire anche da lì. Ma noi non lo sappiamo. Perché non lo sappiamo? Perché l’ultima frontiera delle serie tv, di questa in particolare, non è quella di aderire a un modello di realtà più vera del vero, ma di anticiparla. La serie di proprietà Netflix, ora alla terza stagione, composta di appena tre, quattro episodi alla volta, è irresistibile per quel suo mix di suspense e satira nel descrivere la nostra palese inadeguatezza, come esseri umani, di fronte alle nuove sfide che ci vengono poste dalla tecnologia e dal mondo contemporaneo, e cambia soggetto ogni volta, in modo da configurarsi come serie antologica. Ma anche se scenari e personaggi sono diversi, ciò che li tiene uniti è proprio questo ‘evidente’ lato oscuro che ci avvinghia tutti. Presente nella vita di ognuno di noi, comuni cittadini o primo ministro inglese a cui rapiscono la figlia. Il lato oscuro è lo schermo di un pc che si colora improvvisamente di nero, la ragazza che balla a un metro da te in un locale di tendenza e che ti aspetta all’uscita per proporti del sesso promiscuo e un viaggio senza ritorno, è una voce anonima al WhatsApp dello smartphone che ordina a un teenager, e contemporaneamente a un businessman, di compiere una rapina altrimenti i filmati pedopornografici che guardavano entrambi, per hobby, arriveranno la mattina dopo sul desk di mamma e moglie.
È il lato oscuro della nostra coscienza, Black Mirror, formato serie tv. Ideata da Charlie Brooker, di base britannica, con attori americani.
Abbiamo scelto di parlarvene, insieme a un altro prodotto di culto, giustamente: Top of the Lake, mystery drama scritto da Jane Campion e Gerard Lee, che si avvale dell’interpretazione semplicemente magistrale di Elisabeth Moss, uno dei ritratti femminili più belli e complessi dell’ultimo decennio. È lei il detective Robin Griffin che ritorna in Australia per riprendersi il suo posto dopo alcune vicissitudini sentimentali, e che deve fare i conti con il mobbing dei colleghi. Mostra una spiccata simpatia per lei – forse qualcosa di più… – la statuaria poliziotta Miranda, che sfoggia atteggiamenti da fan al limite dell’(innocuo) stalkeraggio. Già questa nuova e bizzarra coppia di investigatori basterebbe da sola, insieme a un nuovo mistero da risolvere, a giustificare i nuovi episodi, ma l’intenzione della Campion non è quella di ripetersi, bensì di andare a scavare ulteriormente nel passato di Robin. Con i nuovi episodi di Twin Peaks, questo era l’evento speciale del 70° Festival di Cannes: un apparente iceberg attraccato sulla Croisette che promette di sciogliersi con la forza delle lacrime e delle emozioni degli spettatori.
Copertina: poster di Top of the Lake