Scaffali ricolmi, ambienti popolati di carta rilegata, sedie e tavoli su cui studiare, oggetti preziosi che si conservano nei luoghi di cultura. Le serie dedicate alle librerie e alle biblioteche di Massimo Giannoni (Empoli, 1954, vive e lavora a Firenze) sono lunghi sguardi che indagano la memoria e la trasmissione del sapere e che mettono al centro i luoghi dove abitano i volumi. Perché i protagonisti sono loro, i libri: le forme, i dorsi colorati, le masse solide eppure così familiari e leggere. Qua e là compaiono espositori di riviste riconoscibilissime, copertine verosimili, pile ordinate di libri o cataste di tomi in attesa di un riordino, o del macero, e poi poche cose estranee: qualche scala a pioli per raggiungere le file più in alto, un paio di mappamondi, un vaso antico, tutto in un’equilibrata cadenza di pieni e vuoti.
Non c’è invece mai la presenza umana negli ambienti contenitori di libri, molti dei quali ora scomparsi, come la celebre Libreria Seeber di Firenze, le cui vedute diventano quasi un appello contro il pericolo dell’estinzione dei vecchi, affascinanti negozi; è come se la conoscenza vivesse di vita propria, non avesse bisogno di essere usata, sfogliata, appresa. Presenza costante e palpabile è al contrario la luce, talvolta dorata a illuminare un angolo tra gli scaffali, altre volte al neon che appiattisce e rende l’atmosfera più fredda, in un contrasto cromatico che spesso si alterna a grandi porzioni di dipinto quasi monocromo, dove la scala di grigi è sfiorata solo da un po’ di azzurro.
La fonte dichiarata dei quadri di Giannoni è il medium fotografico: un semplice punto di partenza da cui costruire un complesso sistema di immagine che sceglie una determinata prospettiva – evidenti scorci dall’alto o dal basso che la fanno percepire come elemento fondante del dipinto, non come semplice necessità – e impasta densi strati di colore per rendere le opere materiche, tattili, ancor più reali della stessa fotografia di partenza, tanto da far emergere dalle tele dettagli autenticamente tridimensionali. E Giannoni, con la sua tecnica, sfiora consapevolmente anche l’informale, in una contaminazione efficace che mantiene sempre alta l’attenzione di chi osserva e che si rivela centrale per l’artista: il “come” della pittura, tanto quanto il “cosa”.
Giannoni vive nel suo studio, ha bisogno del suo atelier, del silenzio, della solitudine e del tempo che non scorre e che ritrae sui suoi dipinti: lì pensa e realizza le sue moltitudini – termine che, insieme ad “accumuli”, ricorre spesso nelle sue dichiarazioni o nei testi che parlano di lui – di libri, di paesaggi e di interni di borse d’affari con omini indaffarati e agitati. Afferma di essere misteriosamente innamorato dei propri soggetti, ai quali si dedica con metodo e rigore, perseguendo una riconoscibilità immediata che lo distingue da spiriti artistici fin troppo volubili e che gli traccia una strada che percorre con professionalità e coerenza.
Copertina: Massimo Giannoni, Libreria, 2014 – Cortesia dell’artista