Sono soltanto ragazzini, “just kids”. Soltanto? Cosa significa quel “soltanto” quando si parla di bambini? Sappiamo, noi che non lo siamo più, sondare i loro pensieri leggeri, ci ricordiamo il momento in cui abbiamo scoperto la nostra ombra? Valerio Berruti è un artista che da molto tempo si occupa dell’infanzia: nei suoi lavori compaiono sempre dei bambini, appunto, piccole creature che conservano ancora intatto il potere del gioco, che dispongono ancora della meraviglia della scoperta.
Nel suo ultimo progetto da poco concluso – due mostre a Milano e a Verona, presso le rispettive sedi della galleria MARCOROSSIartecontemporanea, e una grande installazione davanti alla cattedrale della città scaligera – Valerio lascia che i suoi bambini compiano un inevitabile rito di passaggio: “Si prende coscienza, passo passo, del proprio corpo, che genera un’ombra e che è una sorta di specchio cieco, di sole nero. E in un attimo il paradiso è perduto”, scrive il curatore Marco Enrico Giacomelli. Ma questa perdita, che se dovessimo subirla da “grandi” comporterebbe un trauma doloroso e insanabile, nelle opere che costituiscono Paradise Lost è vissuta con innocenza e spensieratezza, come un autentico gioco – le manine paffutelle si allungano verso l’ombra inafferrabile – con ciò che da quel momento in poi sarà l’altro sé e da cui non potremo più separarci (a meno di non essere il protagonista – costretto a consegnare ad altri la sua ombra, che pian piano muore – di quello straordinario racconto in La fine del mondo e il paese delle meraviglie di Murakami Aruki, o ancora, a meno di non essere Peter Pan).
Come sua consuetudine, Berruti ha trovato, anche per questa mostra, la collaborazione con una musicista: a dare il suono della video animazione realizzata per l’occasione è Joan As Police Woman, ma in passato l’artista è riuscito a coinvolgere in progetti intensamente suggestivi anche – per fare solo due esempi illustri – Paolo Conte (per La figlia di Isacco, esposto al Padiglione Italia della 53. Biennale di Venezia nel 2009) e Ryuichi Sakamoto (per la personale Kizuna a Tokyo nel 2011).
Le contaminazioni però non finiscono qui: i bambini, delineati con linee semplici e con pennellate spesso monocromatiche che sembrano quasi ricreare le loro incontaminate stanze interiori, sono anche materia delicata di progetti editoriali, in particolare di quello appena dato alle stampe per Gallucci editore. Il vento tra i salici nasce dal “ritrovamento”, a Londra, di un’antica edizione del classico per la letteratura d’infanzia scritto da Kenneth Grahame nel 1908. Valerio Berrutti su quelle pagine ha disegnato 71 figure e ora quelle tavole – sfogliate velocemente perché per i cuccioli i libri sono, e devono essere, prima di tutto giochi – sono diventate un flipbook che, oltre ai disegni, racchiude la traduzione fatta da Cesare Pavese del romanzo di Grahame e i versi di Nuovo di Gianmaria Testa, cantautore e amico di Berruti recentemente scomparso. E il gesto che fa prendere vita ai disegni è forse tra i pochi che, in un lampo, riporta tutti noi adulti, disincantati, cinici, stressati, a rivivere davvero, per pochi secondi, l’incanto dell’infanzia.
Copertina: Valerio Berruti, Vocazione, chiesa di San Agostino, Pietrasanta, 2004