Una manciata di titoli altisonanti ci attende in sala in questo 2016. Parliamo di Steve Jobs di Danny Boyle, con il divo più amato e carismatico del momento, Michael Fassbender, il quale, con una simbiosi propria del metodo Stanislavskij, si è calato completamente nei panni del compianto fondatore di Apple Inc. nel tentativo di farne rivivere visione e insegnamenti; poi c’è Revenant – Redivivo, l’ultima fatica del messicano Alejandro G. Iñárritu, ancora fresco dell’Oscar conquistato con Birdman, e che stavolta – si dice – lancerà la corsa per la statuetta a un affamato Leonardo DiCaprio; vedremo poi Ave, Cesare! dei Fratelli Coen, parodia di una giornata di lavoro nella Hollywood anni ‘50; Legend, di Brian Helgeland, in cui il contraltare di Fassbender nei cuori delle donne, e cioè Tom Hardy, più irsuto e macho, si sdoppia per interpretare due spietati criminali gemelli. A questo poker, aggiungiamo un quinto film, non potendo dire di tutti, cioè JOY, che ritrova una squadra molto affiatata: il regista David O. Russell e gli attori Jennifer Lawrence, Bradley Cooper e Robert De Niro, di nuovo insieme dopo il successo de Il lato positivo.
Apparentemente questi film non hanno nulla in comune. Ma è davvero così? Non proprio. Intanto, tre su cinque sono delle icone nei rispettivi campi e narrano di personaggi che hanno attraversato le epoche, dall’antichità all’era contemporanea. Alludiamo a Cesare o alla sua diretta emanazione (l’antica Roma), ai fratelli leggenda della malavita londinese e al genio Steve Jobs. Tutti quanti – sì, perfino JOY – recano un carattere di epicità. C’è il biopic Steve Jobs, il polar all’inglese Legend, la commedia brillante dei Coen che irride un’epoca gloriosa e il suo imperatore, il revenge movie Revenant e la self made woman in JOY.
Ce n’è anche un altro, di tratto comune, in queste cinque pellicole. E infatti esse concentrano il fuoco dell’azione su un solo protagonista, al massimo due, e sviluppano la struttura narrativa intorno a un unico microcosmo, come accadeva nel cinema dei bei tempi andati, contrapposto a quello di oggi, così caotico, dispersivo e frammentato. È, cioè, l’uomo o la donna al centro del plot. Mossa registica, ma anche di scrittura, che li colloca immediatamente, chiunque essi siano, su di un piano di eroismo, che li fa guardare ai milioni di spettatori da questa parte dello schermo in una posizione dall’alto al basso, tuttavia illudendoli di essere tali e quali a loro. Penso soprattutto a Joy Mangano, la casalinga passata alla storia per aver inventato il mocio: cresciuta in mezzo a uomini ostili, misogini, compresi i suoi famigliari, senza fiducia nell’altro sesso e di conseguenza in lei, Joy ha affrontato le difficoltà che il momento storico le poneva una a una, creando dal niente un impero imprenditoriale che ha retto per decenni. Nel ruolo, Jennifer Lawrence, giovane star grintosa e pasionaria nella lotta che sta conducendo per l’ottenimento del medesimo salario per attori e attrici che lavorano nella Mecca del cinema.
Lei ci sembra la figura adatta a incarnare quel modello di umanità coraggiosa ed eroica al quale i produttori stanno tornando a guardare.