“I wish for you to stand up for what you care about partecipating in a global art project, and togheter we’ll turn the world inside-out”. Trad.: ”Desidero che voi esprimiate quello che vi sta a cuore, partecipando a un progetto globale d’arte, e insieme metteremo sottosopra il mondo”. Finisce così, con questo desiderio, la conferenza del vincitore del TED PRIZE 2011: lo street-artist francese JR.
Però questa storia inizia così:
JR ha quindici anni quando insieme ai suoi amici comincia a scalare i tetti delle case parigine o a infilarsi nei tunnel della metro con lo zaino pieno di bombolette di vernice spray per scrivere il suo nome sui muri; e onestamente a quell’epoca non ci pensava proprio a cambiare il mondo. Gli interessava solo lasciare il suo segno nel mondo come a dire: “Ehi gente! guardate dove sono arrivato!”
Poi, come sempre, a un certo punto l’ineluttabile destino ci mette lo zampino (scusate la rima) e così un giorno, aggirandosi nei tunnel della metropolitana parigina, JR trova a terra abbandonata una reflex da quattro soldi con un obiettivo 28mm., la raccoglie, e da quel momento inizia a scattare fotografie ai suoi amici “graffitari”; restituisce poi queste foto stampate in piccole fotocopie formato A4.
A 17 anni allestisce la sua prima “mostra di strada” e per farlo sceglie il muro di legno di un cantiere sugli Champs-Elisèes; incolla le immagini – sempre stampate in fotocopia A4 – sul muro tracciandovi intorno cornici posticce con la bomboletta di vernice. JR ha sempre cercato il riscontro diretto con il pubblico e questo è sicuramente il modo più adatto. Le foto però quasi sempre nottetempo sparivano. Re-incollate più volte, sempre sparivano; se vogliamo leggerla in altro modo: la mostra è stata un successo enorme!
Arriva il 2005; è l’anno delle sommosse nelle periferie parigine, ma anche quello dove l’arte di JR fa il grande salto: parte il progetto “Portrait of a generation”. JR va in quelle periferie, lì ci sono tanti suoi amici che “certo non sono degli stinchi di santo ma neppure dei delinquenti assetati di sangue”, li ritrae e poi utilizzando un sistema che ormai lo contraddistingue crea dei maxi poster con la fotocopiatrice; inserendo nell’immagine nome, cognome e indirizzo del soggetto, li affigge ai muri dei palazzi dei quartieri “bene” di Parigi, come a dire che non tutti gli abitanti della banlieue sono delinquenti solo perché immigrati e cittadini di una periferia spesso degradata e disagiata. Ha inizio così la più grande affissione illegale di tutta la Francia, che diventa legalizzata quando dopo pochi mesi il municipio di Parigi permette di incollare sul muro di fronte al suo ingresso le stesse facce che erano sparse in giro per i suoi quartieri.
Poco dopo, nonostante tutti i consigli negativi ricevuti e le mille raccomandazioni a non farlo, seguendo l’onda dei disordini sociali e politici del Medio Oriente, JR approda in Israele e Palestina con il geniale e alquanto pungente progetto “Face to Face”, dove stavolta, girando le più importanti città della zona, a essere ritratti, fotocopiati in maxi formato e affissi sono comuni cittadini che svolgono comuni lavori di entrambe le comunità e che puntualmente finiscono poi affiancati (un palestinese e un israeliano) sui muri delle case, lungo la strada, da una parte e dall’altra del muro di sicurezza, in un fantastico intreccio tipo “indovina chi è chi”. Questo suscita fra la gente della strada grande curiosità e solidarietà: arriva una scala più alta, una scopa per incollare con il manico più lungo, molti si offrono per aiutare nell’incollaggio; ma suscita anche accesi dibattiti: “scusate… che state facendo?”, “sa… incolliamo sul muro le foto di un israeliano che fa il cuoco e di fianco ci mettiamo quella di un palestinese che fa il cuoco” e di rimando: ”scusa ma vorresti attaccare la foto di un israeliano qui… a Ramallah?”, “sì, ma anche quella di un palestinese… a proposito, mi sai dire chi è l’uno e chi è l’altro?” al che arrivava la risposta tipica: “beh veramente non è molto facile… anzi direi che è proprio impossibile!”
Bingo!
Può, quindi, l’arte cambiare il mondo? No, come dice JR, “ma può sicuramente cambiare la percezione delle cose, può cambiare come vediamo il mondo”.
Questo mantra accompagna JR da sempre e anche gli altri suoi progetti ne sono un esempio.
Nel 2008 produce il suo primo vero progetto globale, “Women are Heroes”. Il senso del progetto è che nei paesi dove sono presenti conflitti sociali, politici e militari, soprattutto in quelle economie fortemente sottosviluppate o in via di sviluppo, le donne sono le prime a subire soprusi ed enormi violenze, ma sono anche quelle che con il loro instancabile lavoro e forza di volontà mandano avanti la vita, e non solo quella familiare, perchè spesso gli uomini o sono a combattere o sono già morti o più semplicemente “cazzeggiano” per la strada. Brasile, Africa, India, Cambogia sono le tappe.
La sua fotografia arriva anche in Svizzera alla fine del 2010, dove incolla la gigantesca immagine di un minareto sul muro di una torre a Vevey, appena dopo che era stato votato il divieto di costruire moschee e quindi di erigere minareti in tutto il territorio svizzero.
… e poi il TED Prize.
Con buon parte del premio, JR lancia il primo progetto d’arte globale condivisa: “INSIDE OUT” appunto, sotto-sopra: dove chiunque abbia una storia personale da raccontare, una di quelle che difficilmente troverebbero spazio nei media, o più semplicemente una storia da raccontare e basta, può partecipare: JR e i suoi collaboratori ti supporteranno con la loro esperienza, ti stamperanno i poster, te li invieranno; a te e al tuo gruppo non resterà che affiggerlo per raccontare quella storia, condividendo il tutto poi via web.
Il potere di carta e colla, anche grazie a Marco Berrebì, fotografo e fido collaboratore di JR fin dalle sue prime installazioni, e al collettivo Artocracy, arriva per primo in un paese che di storia da raccontare ne ha una e anche molto grossa, un paese dove fino a qualche mese fa le uniche immagini affisse per strada, nelle piazze, sui muri dei palazzi, erano quelle del padrepadronedittatore: la Tunisia. Immaginate ora di rimpiazzare tutte le foto del dittatore con immagini di cittadini tunisini normali: anziani, giovani, disoccupati, occupati, professionisti, semplicemente uomini e donne; e immaginate di mettere queste immagini sulle facciate dei palazzi del vecchio regime, sui muri delle ville del dittatore, lungo le strade, nei porti,di sostituire i “faccioni” di Ben-Alì con le facce di tutte queste persone fotografate in tutta la Tunisia.
E fare tutto questo per smuovere la coscienza dei tunisini, per far sì che un nuovo stato di coscienza si sviluppi e cresca una nuova cultura, un nuovo modo di pensare e di comunicare: “Ora siamo noi i padroni di tutto questo e le nostre facce lo stanno a testimoniare. Ora siamo liberi di esprimerci senza più paura!”.
Immaginate che trauma collettivo… e in effetti il trauma c’è stato. Molte delle persone ritratte al momento dell’affissione delle loro immagini sono scoppiate in vere e proprie crisi di rabbia, strappandole: non erano abituate a vedersi in queste situazioni, senza filtri e in piena luce, e anche la gente non fotografata spesso si accaniva verso le immagini esposte urlando di “non volere più altre immagini sui muri con le facce della gente, perché adesso non vogliamo più immagini sui muri e lungo le strade…”
“Quindi se è vero che l’arte non può cambiare il mondo è anche vero che del mondo ne fa uno spazio neutro, ideale per scambi e discussioni, e queste sono le cose che permettono a tutti noi di cambiare il mondo” (JR).
I siti di questo articolo:
se poi volete vedere qualche video del progetto insideout:
http://www.youtube.com/theinsideoutchannel#p/f/54/0PAy1zBtTbw