Chi temeva la devastazione del Regio da parte di satanisti nerovestiti è rimasto deluso (con rispetto parlando, pare che i fan di Nino d’Angelo siano ben più pericolosi). Sono state le potenti vibrazioni sonore, forse, a minacciare di crepe stucchi e cristalli, non certo il pubblico: decisamente più composto e silenzioso di quello delle serate liriche.
Nati nel 1992 a Oslo, gli Ulver (“lupi”) sono una cult band norvegese tra le più influenti della scena contemporanea, guidata da un concept preciso: al centro c’è l’uomo, animale capace di elevarsi al di sopra della natura eppure inerme di fronte a forze senza nome, più grandi e antiche di lui. Da qui una musica di contrasti violenti e di sperimentazione fuori dai sentieri usuali.
Nel live al Teatro Regio – il 12 novembre, ultima data italiana – gli Ulver hanno ricalcato il sontuoso concerto tenuto al Norwegian National Opera portando una ventata di novità nel tempio della tradizione parmigiana: evento raro, da ripetersi più spesso. Circa novecento gli spettatori, dalle province limitrofe e oltre, in maggioranza giovani e maschi; quasi tutti dark e metallari. In minoranza, ma entusiasti, i meno giovani.
È stato il giovane chitarrista sperimentale norvegese Stian Westerhus, già visto a Parma lo scorso anno in occasione del ParmaJazz Frontiere, ad aprire lo spettacolo: prima suonando la chitarra con un archetto da violino, poi portandola agli estremi in un delirio di sonorità stridenti non troppo piacevoli per le orecchie (e i nervi) sensibili. Ottima invece la sua collaborazione con la band in due brani, fra i quali l’onirico “Eos”: sullo sfondo la bomba atomica, e una luna piena che tramontando ha chiuso il concerto.
I “lupi” hanno suonato pezzi presi in gran parte dall’ultimo album “Wars of the Roses” (Norvegian gothic, England, September IV) per andare poi a ritroso, spaziando da momenti di metallo quasi classico ad altri totalmente elettronici, con un paio di sprazzi alla “The Cure”; un po’ penalizzato il cantato, spesso sovrastato dagli strumenti o impastato con i suoni.
Una parte importante della performace è stata affidata ai surreali video di Kristin Bøyesen: dominante il bianco e nero, qualche intervento di colore o viraggio qua e là, in contrasto con la band illuminata in blu, arancione o rosso; azzeccata la scelta delle immagini: prevalenti i video d’epoca, dalla caccia alla volpe alla ballerina piumata anni ’30 in loop o alla sequenza horror d’annata. Non è mancato qualche simbolo esoterico, mentre sullo sfondo del brano “For the love of God” ha fatto capolino – fra immagini di Cristo e di riti religiosi – l’occultista Aleister Crowley in uno dei suoi ritratti più famosi.
Chiuso il sipario, nessuno chiede il bis ma le tende si riaprono lo stesso: gli Ulver dicono che il teatro è davvero bello, e si fanno fare una foto tutti insieme sullo sfondo della sala ancora piena. Nell’attesa di altre novità al Regio, chi avesse nostalgia del concerto potrà rimediare con il dvd “Ulver Live In Concert: The Norwegian National Opera” di prossima uscita.
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