Vivian Maier è nata nel 1926 ed è deceduta nel 2009 a Chicago. Aveva 83 anni. Le fotografie che questa signora ha realizzato nel corso della sua vita sono state esposte al pubblico per la prima volta nel 2010: un anno dopo la sua morte.
Che storia, quella della Maier; quando l’ho letta per la prima volta faticavo a crederci: la scoperta di una raffinata “street photographer” della seconda metà del Novecento, avvenuta casualmente poco dopo la sua morte grazie a John Maloof – tutt’ora possessore e curatore della quasi totalità del lavoro della fotografa – che ha acquistato a un’asta per quattrocento dollari uno “storage box” zeppo di scatoloni contenenti migliaia tra negativi e pellicole, molte ancora da sviluppare, fatto scoperto solo dopo, dal momento che durante l’asta non poteva controllarne il contenuto.
Anche se nata negli Stati Uniti è in Europa che la Maier passa la maggior parte della sua gioventù; soprattutto in Francia, paese natale del padre. Le sue prime immagini risalgono al 1949 e sono state scattate nelle Alpi francesi, sono per lo più paesaggi, e diversi ritratti con inquadrature molto controllate, che risentono già della forte influenza di Jeanne Bertrand, bravissima e stimata fotografa di Chicago che ha vissuto in casa Maier già dagli anni ‘30.
Nel ‘51 Vivian rientra a New York e trova lavoro come badante e bambinaia – attività che svolgerà fino alla metà dei ‘70 – presso le famiglie altoborghesi della città; nel tempo libro fotografa in giro per la città, continuando a utilizzare la vecchia e spartana Kodak Brownie. Il ’52 segna una svolta nel modo di guardare il mondo, e seguendo la strada tracciata dai grandi fotografi dell’epoca la Maier investe una cifra considerevole in una “fiammante” Rolleiflex. La flessibilità della nuova “camera” offre all’artista la possibilità di indagare ancora più a fondo quel mondo che le stava intorno, rappresentato quotidianamente nelle strade di New York prima e Chicago poi.
Si straferisce poi a Chicago; sempre lavorando come badante, riesce ad affittarsi un appartamento con bagno dove, ovviamente, installa la sua prima camera oscura. È il 1956. Intorno alla metà degli anni ‘60, inizia a lavorare presso altre famiglie e smette di sviluppare i rullini, che iniziano ad accumularsi; nel frattempo è passata al colore del Kodachrome e a Leica.
L’uso della pellicola a colori dà alle fotografie della Maier un profilo del tutto nuovo e inaspettato: le persone iniziano pian piano a uscire dalle inquadrature e quasi in maniera compulsiva fanno la loro comparsa oggetti quotidiani: cassette della posta, graffiti, auto, idranti, perfino oggetti raccolti nei cassonetti dell’immondizia. Forse un linguaggio diverso per raccontare l’impermanenza dell’essere umano sulle cose.
Mi fermo qui, il resto sarebbe solo la cronaca di una vita che si spegne in totale povertà.
foto: Vivian Maier_ ©2013 Maloof Collection Ltd. – tutti i diritti riservati