E’ il 1140 circa quando l’abate Suger fa restaurare la chiesa di Saint-Denis alle porte di Parigi e, giunto alla zona del coro, lo spazio più sacro, decide di progettarlo con uno slancio verso il cielo e con enormi vetrate che facciano passare la luce, quella di Dio.
E fu il gotico.
Mezzo secolo dopo: il vescovo Milone, a seguito di un incendio che aveva distrutto i vecchi edifici, inizia la ricostruzione della cattedrale di Beauvais: lo spinge l’ambizione, la voglia di andare più in alto di tutti, su fino ai 70 metri – si dice, forse esagerando un po’ – dei colmi degli archi. Troppo, troppo per le tecniche architettoniche di cui potevano disporre nel 1270: e infatti l’ardita costruzione non regge, e la volta crolla. Ricostruita nei decenni successivi, oggi è ritenuta la chiesa più alta del mondo.
Con un altro salto temporale portiamoci al 1418. L’Opera del Duomo di Firenze bandisce un concorso per completare la grandiosa cattedrale con una copertura altrettanto grandiosa. Incaricati dell’impresa furono Filippo Brunelleschi e Lorenzo Ghiberti: a loro si deve la cupola di Santa Maria del Fiore, la più grande mai costruita. Queste tre opere antiche ancora oggi, a distanza di secoli, ci lasciano senza fiato, suscitano emozioni che solo gli spiriti rivoluzionari – non esenti forse da una certa dose di incoscienza – sanno trasmettere con la loro genialità.
2012. Milano, Porta Garibaldi. Un’altra vetta, questa volta di acciaio, cemento e vetro: la Torre Unicredit ha modificato lo skyline di Milano: la si vede da Centrale, dal Cimitero Monumentale, dall’interland, in quelle rare ma incantevoli giornate limpide meneghine. Realizzata dall’architetto argentino César Pelli, è ora il più alto grattacielo d’Italia, svetta fino a 231 metri con la sua guglia che la Madonnina è costretta a guardare – stupita e ammirata, anche lei – dal basso. Con il suo avvolgersi di enorme foglio arrotolato, al cui centro si apre piazza Gae Aulenti, è pensata come il polo direzionale di una banca che ha investito in un immobile, certo, ma anche in una strepitosa campagna di comunicazione all’insegna della bellezza, della modernità e della potenza.
Rischio e ambizione, denaro e gloria sono sempre stati alla base dell’architettura d’avanguardia, quella che con il passare dei secoli merita di rientrare nella categoria “capolavori”, perché innova, perché è espressione del proprio contemporaneo, perché non è imitazione o banalizzazione di vecchi modelli. Milano sta cambiando, sta scommettendo su questo nostro secolo che altrove pare non ancora iniziato. E non vediamo l’ora di poterci trovare con il naso all’insù sotto i grattacieli di Daniel Libeskind, Arata Isozaki e Zaha Hadid nel futuro quartiere City Life.