Vetro diamante, zanfirico a reticello o lattimo, murrine a mezzaluna, o a puntini, o trasparenti; ancora, vetro inciso e opalino, incamiciato, battuto, corroso, iridato o sommerso: sono solo alcune delle tipologie e delle tecniche vetraie che hanno caratterizzato la raffinatissima storia della vetreria Venini di Murano, a cui la Fondazione Cini di Venezia sta dedicando da qualche anno un programma di esposizioni inserite nel progetto Le stanze del vetro. Dopo gli approfondimenti su alcuni designer che contribuirono, nel corso dei decenni, alla fama dell’impresa – da Carlo Scarpa a Fulvio Bianconi, da Tommaso Buzzi a Napoleone Martinuzzi – il più recente allestimento è stato dedicato a quell’artefice carismatico che, dal 1921 al 1959, ha sovrinteso una superba équipe di disegnatori, di maestri vetrai, di architetti e stilisti.
Paolo Venini fu muranese d’adozione e vetraio per scelta: formatosi in materie giuridiche, prima in collaborazione con Giacomo Cappellin e poi alla guida della sua Vetri Soffiati Muranesi Venini e C., seppe inventare un’idea di “veninità come categoria dello spirito, come un insieme di forme (idee, pensieri, disegni) e contenuti (materia, maestria, relazioni), che distinguono in modo inconfondibile non solo i prodotti ma anche l’identità culturale dell’azienda, la sua immagine, la sua visione del mondo e del suo ruolo nel mondo”. Non fu mai un vero disegnatore, nonostante lo si possa ritenere a tutti gli effetti autore di celebri serie, ma si circondò da un lato degli artisti già citati, ai quali è doveroso aggiungere Francesco Zecchin, e dall’altro di maestri vetrai che seppero assecondare le sue ricerche e tradurre in materia – quella materia di cui fu sempre innamorato – in oggetti raffinatissimi caratterizzati al contempo da sobrietà e ricercatezza.
Nella fornace Venini si portava avanti una rilettura in chiave innovativa di tecniche tradizionali muranesi, come quella dello zanfirico, conosciuta a Murano fin dal XVI secolo, e che prevede l’unione a caldo di caratteristiche canne trasparenti con fili variamente intrecciati, inglobati al loro interno, per ottenere un unico tessuto vitreo che viene poi manipolato e soffiato fino alla forma voluta. Senza dimenticare la murrina, protagonista di molte realizzazioni a partire dal 1953, oppure la tecnica degli incisi (dal 1956), vetri di grosso spessore rifiniti a freddo da una lieve molatura e da fitte incisioni orizzontali ottenute con l’ausilio di una ruota dal profilo seghettato: Venini li volle realizzare con cromie delicate ma decise, risultanti dalla sovrapposizione di vari strati di vetro colorato trasparente.
Un abile regista, insomma, di una fornace che durante la sua guida e il suo attentissimo controllo in ogni fase dell’attività partecipava alle Biennali di Venezia e alle Triennali di Milano, che godeva – anche grazie alla partecipazione attiva dell’architetto e designer Gio Ponti – di recensioni su “Domus”, che riusciva a commercializzare vetri in Scandinavia e in Nord Europa, da dove non di rado prendeva spunto per le linee semplici e moderne, ponendosi in rottura con l’arte vetraria del passato e soprattutto con un’ormai non più attuale, e solo di maniera, ripresa di temi Liberty.
La suggestiva mostra ha affiancato alle creazioni dello stesso Venini quelle di alcuni tra gli artisti che lavorarono al suo fianco: di Gio Ponti abbiamo già detto, quindi citiamo Charles Lin Tissot con le sue interpretazioni dello zanfirico, Ken Scott – fashion designer statunitense – con la sua serie di pesci coloratissimi, il pittore veneziano Riccardo Licata e Tobia Scarpa, poi Tyra Lundgren, il geniale Massimo Vignelli con le sue ricerche sull’illuminazione, fino a Piero Fornasetti, il quale produsse un servizio da tavola. La chiusura, naturalmente, è affidata ai celebri Opalini di Venini, con le loro inedite e intense colorazioni associate a forme morbide, ancora oggi al centro di un commercio elegante e borghese che fortunatamente sceglie l’ormai rarissima preziosità degli autentici vetri soffiati veneziani.
Copertina: Paolo Venini, Vasi della serie “incisi”, 1956-1957