Avrà fatto con il pubblico, Ute Lemper, quello che la primavera fa con i ciliegi? Noi pensiamo di sì. Bastava guardare sabato 4 ottobre le facce piene di emozionata meraviglia degli spettatori all’uscita del Teatro Valli di Reggio Emilia. Ute aveva appena cantato i poemi d’amore di Pablo Neruda. Evento del Festival Aperto 2014, lo show dell’interprete di Münster rappresenta un cambiamento rispetto al suo repertorio. Lei ne è l’artefice. Melodie, composizioni vocali, arrangiamenti e intera direzione artistica rispondono a un progetto personale della tedesca: l’abbiamo sentita cantare in spagnolo, lingua del poeta cileno, nella quale lei, considerata l’erede di Marlene Dietrich, ha profuso ogni grammo della sua classe, adattando l’incisività della pronuncia d’origine a un caldo fraseggio latinoamericano. Non solo spagnolo, però, in questa nuova creazione della Lemper, che prima di Reggio si è esibita a Verona.
È lei a spiegare le origini del suo “progetto del cuore”: «Ho scelto questi poemi per celebrare l’amore, la passione e la vita. Prima ho composto melodie e canzoni, che nella mia intenzione dovevano essere le più commoventi e dolci che si potessero immaginare, e al tempo stesso ho cercato di non tirarmi indietro di fronte alle emozioni forti del tormento. Implosioni ed esplosioni: il temperamento di Neruda». Dal primo minuto all’ultimo, è stato reso un autentico omaggio a un uomo che ha sofferto gli anni dell’esilio, dal suo Paese e dalla sua amata, la disperazione e la fierezza di appartenere a una patria dolente, cara e sanguinosa, dalla quale solo, e soltanto, può derivare un attaccamento bruciante. Amore, sentimento dominante tutte le liriche, sia quello per la la moglie Mathilda o la terra abbandonata, dolore e malinconia attraversano il corpo di Ute Lemper, lassù, fasciata in una gonna d’argento che il suono del bandoneon fa vibrare. Lei seduce la platea, la rapisce per un’ora a mezza in cui siamo al Valli ma ci par d’essere su una spiaggia argentina al tramonto. C’è solo lei, lì, se non fosse che i musicisti che l’accompagnano sono eccellenti.
In mezzo ai versi, spunta un poema dal titolo Epithalamio, dedicato a La Isla Negra, che evoca le atmosfere di quel posto incantato. È forse La Canzone disperata però, il testo in cui Lemper esprime una vicinanza al poeta, nella sensualità delle parole, nel significato, che raggiungono l’apice della sua prestazione scintillante: qui dove il sentimento d’amore diventa distruttivo. Anche se è l’ultimo testo, Questa notte posso scrivere i versi più tristi, quello della fine del viaggio di Neruda, l’unico nel quale Ute ammette di avere cambiato qualcosa, sentendo quel poema affine alle sue corde. Nei bis recupera la lingua madre ed eccola trasformarsi in Marlene. Un Angelo Azzurro sinuoso come una gatta. Passa di là dall’Atlantico e dà vita alle atmosfere all that jazz di Chicago e Cabaret, e sono brividi. Una donna che impressiona. Per capacità vocali, fisicità, presenza scenica e improvvisazione. Performer anche nella vita? «Non ho ancora trovato l’uomo giusto. Che sia qui a Reggio Emilia la persona che fa per me?»