Stanislao Farri è sulla soglia dei novant’anni. E ha ancora tanta energia, tanta voglia di inquadrare soggetti che lo colpiscono e scattare fotografie che, stampate, disegnano linee e prospettive, ritraggono scorci insoliti e affascinanti, come nell’ultimo progetto dedicato all’architettura di avanguardia reggiana, quella di Santiago Calatrava. Le curve degli ormai celebri ponti, le vele della stazione ad alta velocità Mediopadana, si stagliano davanti alle nuvole bianchissime, sbucano da quinte di alberi scuri, tanto da sembrare silhouette, o disegnano geometrie perfette che il bianco e nero contrastato esalta, quasi fossero opere d’arte astratte.
Una ricognizione appassionata – ora in mostra a Reggio Emilia presso BFMR & Partners che segue un’ampia monografica presentata dalla Galleria VV8 –, che ha preso avvio nel 2006, quando i ponti erano in fase avanzata di costruzione, e ultimata da pochissimo, restituendoci la visione d’insieme e i dettagli segreti delle opere. A testimonianza di un’operazione che è anche un’analisi critica – nel senso più nobile del termine – di un significativo intervento architettonico e paesaggistico, in catalogo sono presenti gli interventi di due autentiche archistar, lo stesso Calatrava e Mario Botta. Mentre il curatore, Sandro Parmiggiani, spiega che «Farri ha personalmente sviluppato ciascuna di queste immagini, ottenute con la pellicola tradizionale, nella sua camera oscura […]. Pochi come lui sanno restituirci la verità e la bellezza segreta della natura e delle cose dell’uomo, tutto il senso cosmico di un nuovo paesaggio, con i tre ponti che disegnano una tensione di libertà e la stazione ferroviaria che appare come una grande scultura, un’onda ritmica generata dalla velocità e dall’energia diffusa dai treni che l’attraversano, dai camion e dalle automobili transitanti lungo l’autostrada, un movimento musicale che si propaga nell’aria e nello spazio».
Nuvole e alberi, come si accennava, sono protagonisti di tutta la ricerca di Farri, una ricerca iniziata nei primi anni Quaranta del Novecento, dopo esperienze professionali nell’ambito della tipografia e che lo hanno portato a contatto con una committenza di aziende reggiane che hanno richiesto la sua collaborazione fino a tutti gli anni Ottanta. Tutto ciò gli consentì di approfondire l’interesse sia per gli aspetti formali sia per quelli tecnici, sperimentando vari procedimenti di sviluppo e stampa in camera oscura. Ma parallelamente, al di fuori dell’ambito puramente professionale, negli stessi anni nascevano le serie degli alberi, appunto, ritratti nel loro crescere, nel loro essere viventi, e delle nuvole, che Farri fotografò con costanza e devozione fino a pubblicarle in una monografia del 2005.
Molti gli argomenti della sua indagine, quasi sempre riconducibili a un desiderio di conservazione della memoria delle terre d’origine, della civiltà e della cultura del territorio di Reggio Emilia. Ne è esempio anche il volume Amuleti di pietra del 2012, che raccoglie le immagini, devozionali e “laiche”, delle pietre scolpite dagli “scalpellini”, dal tempo lontano delle cattedrali romaniche fino all’Ottocento, e che ancora oggi si stagliano sui muri delle case della montagna.