Renato Vernizzi (1904-1972) è da pochi giorni il protagonista di un nuovo museo inaugurato a Parma negli splendidi locali di Palazzo Sanvitale, dov’è esposta un’attenta selezione di opere provenienti dalla donazione degli eredi; un percorso che inizia dalla vicenda di un artista nato a Parma e trasferitosi a Milano, prosegue nelle sue varie fasi stilistiche e, al termine, introduce nel suo atelier, ricostruito con materiali tutti originali.
L’esordio del pittore, dopo gli studi presso l’Accademia di Parma, è segnato dall’Autoritratto con cappello del 1924, dove già si trovano cenni all’adesione a quel movimento, nato grazie a Margherita Sarfatti, che connotò l’arte italiana dopo il Futurismo, dopo la fine della prima guerra mondiale e prima dello scoppio del secondo conflitto. Erano gli anni di “Novecento”, di un ritorno all’ordine e di un’attenzione alla figura umana che amplia la sua volumetria fino a occupare l’intera tela, riprendendo i modelli classici ferocemente contestati dalle avanguardie di inizio secolo. Molte delle opere di Vernizzi, che nel frattempo da Parma si trasferì a Milano, fino ai primi anni Trenta manifestano l’adesione a questa tendenza stilistica, anche se il pittore non fece mai formalmente parte del movimento e in nessuno dei suoi dipinti si riscontrano quei messaggi retorici e ideologici così evidenti in altri novecentisti.
Renato Vernizzi non aderì mai ufficialmente nemmeno al Chiarismo: sempre attento alla dimensione cromatica, dal 1930 egli scolorò però la tavolozza, prediligendo l’uso del bianco, dei verdi tenui, degli azzurri polvere, seguendo le preferenze degli artisti lombardi. Il profondo mutamento linguistico comportò anche una grafia volutamente incerta e una predilezione per il colore e la luce rispetto al disegno: i volumi si dissolvono, la prospettiva viene reinventata, la pennellata si fa impressionista e l’anatomia si riferisce a canoni antichi. Quanto ai soggetti, sono quotidiani: gli affetti prima di tutto, poi i paesaggi, le nature morte, quelli che, secondo il teorico Enrico Persico, permettono di accentuare “la precarietà dell’attimo, reimmergendola nel fluire della vita”.
Alla metà degli anni Trenta una lunga meditazione interiore portò Vernizzi a cambiare nuovamente lo stile, riaccendendo i colori, avvicinandosi al fauvismo e consolidando una ricerca autonoma che approdò, dopo la seconda guerra mondiale, alla direzione della Galleria Santo Spirito: nelle opere recuperò il valore del nero e da allora in poi elesse a suoi maestri Manet, Velázquez e Hals, senza dimenticare Goya. Riprese la tradizione e la declinò nelle sue tele ora più note, i ritratti: intenso quello del celebre Arturo Toscanini, trasparente quello dello scrittore Ubaldo Bertoli, intimi e immediati quelli degli amati figli, Luca e Isabella, innamorato quello della moglie Maria Teresa.
Vernizzi fu un pittore antiletterario, profondo conoscitore dell’ambiente intellettuale milanese con cui fu sempre in contatto ma da cui si tenne a distanza scegliendo un’altra strada, quella che gli permise di cogliere la vita immediata con una pittura non tanto sentimentale ma mentale, dove le emozioni sono sempre sottoposte allo scrutinio del pensiero.
Museo Renato Vernizzi
Strada Cairoli (Palazzo Sanvitale) – 43121 Parma
Ingresso libero
Orari: da martedì a domenica, dalle 10.30 alle 13.00