È la ricostruzione di un angolo di New York che accoglie i visitatori della mostra Giacometti. La scultura, in corso alla Galleria Borghese di Roma. Sono tre figure commissionate nel 1960 – Donna in piedi I, Grande donna II, Uomo che cammina I – destinate a essere collocate davanti al grattacielo di sessanta piani nella Chase Manhattan Plaza.
Alberto Giacometti (1901-1966), che da giovanissimo si è trasferito dalla nativa Svizzera a Parigi, è considerato unanimemente uno degli scultori più significativi del Novecento: con il suo stile drammatico e inimitabile, ha rotto le convenzioni della figura classica attraverso un percorso formativo che lo ha avvicinato prima al Cubismo, per poi sposare la causa del Surrealismo e infine elaborare modelli propri con cui rappresentare l’essere umano. Le sculture allungatissime, quasi filiformi ma composte da una materia disfatta e “raggrumata” che pur nell’esilità prende con forza possesso dello spazio, contengono in sé tutta la problematica esistenzialista, tutta la riflessione sulla tragicità della vita e sul conflitto tra l’uomo e la modernità. Non a caso l’artista, negli anni della maturità, instaurò un profondo dialogo con Sartre.
La mostra allestita a Roma ricostruisce l’intera carriera dell’onirico, visionario Giacometti: dalle prime sculture essenziali e astratte degli anni Trenta, definite oggetti invisibili e chiaramente debitrici di Picasso come di Braque, alle ultime opere celebri, fatte convogliare nelle sale della Galleria Borghese da tutte le maggiori collezioni mondiali. Il grandissimo fascino che scaturisce dall’esposizione deriva dal rapporto che si crea tra le antiche opere permanenti del museo e quelle dello scultore: accostamenti studiatissimi e che instaurano una preziosa sintonia, un dialogo tra sculture nate in secoli diversi e dalle forme che non sembrano a un primo sguardo avere nessun punto di contatto, ma che trovano invece affinità e paiono conversare con affetto l’una con l’altra. Allora la candida sinuosità della Femme couchée qui rêve (1929) si avvicina alla Paolina di Canova, il celebre Homme qui marche del 1947 richiama lo stesso passo di Enea che incede sotto il peso di Anchise (1619), l’equilibrio instabile dell’Homme qui chavire (1950) è fuori asse come quello del David di Bernini (1623/1624). Ancora, Giacometti porta all’estremo il processo di stilizzazione dei corpi femminili in una metamorfosi analoga a quella che trasforma la Dafne del Bernini in albero.
Di Giacometti sono esposte 40 opere: bronzi, gessi, disegni che innescano sinapsi tra l’antico e il moderno, che permettono di percepire la profondità vitale dei soggetti, il desiderio di scavarne l’anima fino a “ridurre all’osso” la figura umana, fino a portarne in superficie l’inquietudine, la caducità e il porsi dell’umanità, con forza disperata e dignitosa, nel mondo.
A cura di Anna Coliva e Christian Klemm
Roma, Galleria Borghese
Fino al 25 maggio 2014