Nel 1108, la mia città, ma anche la vostra, era fatta di casette di legno. I maiali grufolavano per strada e i lupi ululavano ai piedi delle mura di fango. Nella mia città, nella vostra no, c’era la Scuola Vescovile, la più dotta d’Europa. Così, potrei raccontarvi la storia di uno studente di Reims che, per abbeverarsi alla nostra Fonte di Sapienza, lasciò la sua città, camminò per mesi sotto il sole, si lasciò bagnare dalla pioggia, accettò le sferzate del vento. Onde pagarsi viaggio e soggiorno condusse una carovana di tessuti comprati in Fiandra, pronto, al ritorno, a portarsi via la preziosa lana delle pecore padane. Ma, in fondo, è una storia di cultura troppo inquinata dai soldi, una storia banale, che non profuma d’antico. Perché raccontarla?
Forse è meglio ch’io narri quella di Bertrando, un mio concittadino, che dopo avere partecipato alla prima crociata, fermatosi per qualche anno a Gerusalemme, nel 1108 tornò a casa e spiegò che in Oriente davanti alle chiese mettevano grossi leoni. E insisteva per mettere leoni anche da noi, che le chiese coi leoni sono più belle.
Ma no, preferisco la storia di Gherardino Segalello, un contadino ignorante che voleva farsi frate. Scartato dalla Chiesa, si tagliò il mantello sulla foggia di quelli indossati dagli apostoli nelle immagini medievali e si mise a girare per le campagne facendo il predicatore per conto proprio. Entrava nelle case e urlava “penitenziàgite, penitezniàgite”. Cominciò a raccogliere proseliti e siccome esortava alle pratiche della carne, unico mezzo per raggiungere la purezza, il numero degli apostoli crebbe assai in fretta. Ne nacquero intensi momenti di preghiera e orge colossali. Tutto questo successe anni e anni dopo il 1108 e poi – bisogna dirlo – Segalello finì bruciato in piazza. In una piazza della mia città. E visto che non mi piace raccontare cose fuori tema e poco belle per la mia città, restiamo al 1108. In quell’anno, dalle nostre parti, c’erano alcuni nobili che avevano studiato alla Scuola Vescovile. Uno di loro, Sinibaldo, fu chiamato dall’imperatore alla segreteria reale. Sarebbe diventato in breve gran cancelliere. Ma Sinibaldo aveva un padre, Uberto, che lo voleva podestà di una città vicina. Lo voleva dalla parte delle città libere, non da quelle dell’impero. Sinibaldo, ancora indeciso tra Lombardia e Germania, fu preso dalla dissenteria. E morì nel 1108. Ma perché raccontare una banale storia di mal di pancia e di dolori intestinali? Piuttosto, ce n’è un’altra, quella del piccolo Ugo, il figlio di Bernardo, il mercante. Se ne andava col padre, il piccolo Ugo, alla fiera di San Siro, che si teneva ogni anno dove il torrente che attraversa la mia città e si butta nel Po. E lì correva tra gli orci d’olio che arrivavano dalla Liguria, i mucchi di sale della Romagna, le spezie portate da Pisa e da Genova, i damaschi dei veneziani. Annusava l’odore acre degli asini, dei muli, dei buoi e dei cavalli, guardava le barche scivolare sull’acqua, ascoltava i forestieri parlare lingue sconosciute. Bagnava i piedini nel fiume. Ma a chi interessa la sua storia?
Fine prima parte