Mio zio Renzo mi chiamava in disparte e mi diceva: «Domani vado a Parma: chiedi a tuo padre se ti lascia venire con me». Prendevamo la corriera alle 7 del mattino. Quella con gli studenti e gli operai. Smontavamo in Pensilina alle otto e andavamo a bere una cioccolata calda al Bar Cantarelli, dove sul liquido marrone, denso, ci mettevano un baffo di panna bianca come la neve, e dove tutto era caldo e pulito, e i camerieri svolazzavano tra i tavoli e le belle signore si guardavano attorno sperando di essere guardate. Poi toccava al baretto dei Sarti, i nostri cugini: la Dirce offriva caffè e cedrata mentre suo figlio Mario consigliava allo zio il miglior film di cow boy in programmazione: a noi due piaceva Gary Cooper, perché era spietato ma poteva essere anche buono. Dipende. John Wayne era troppo duro, non si commuoveva mai.
Prima che la proiezione cominciasse c’era il tempo per andare a mangiare un panino da Pepén, un buco stretto, pieno di gente, dove tutti parlavano in parmigiano e mio zio scherzava con tutti. Nei panini ci mettevano una salsa unta, un po’ dolce e un po’ brusca, che aveva tutti i profumi, i colori e i sapori dell’orto. Una delizia. Il cinema era sacro come una chiesa. Cercavamo i posti sottovoce e poi, finito il cinegiornale, per un’ora e mezzo non ci parlavamo più. Di tanto in tanto staccavo gli occhi dallo schermo per guardare quel misterioso fascio di luce morbida che rompeva la compattezza delle tenebre. Ma non c’era tempo da perdere: le pistole sparavano, i cavalli correvano, le porte dei saloon sbattevano.
All’uscita dal cinema facevamo delle discussioni appassionate e io sostenevo che gli indiani non sono mica antipaci. In fondo l’America era casa loro e le giubbe blu ammazzavano i bisonti. Lo diceva anche Gianni Brera nelle dieci-domande-dieci. Mio zio ci pensava su un po’, poi rispondeva: «Adessa co’ fema? Mancano due ore alla corriera». Io la risposta la sapevo già, stavamo andando a prendere l’aperitivo all’Osteria dei Corrieri.
L’aperitivo era una montagna di polpette di carne dentro a una grossa scodella bianca e un bel bicchier di vino rosso. Per me chinotto. Polpette come le facevano all’Osteria dei Corrieri ai tempi di James Stuart, leggere, croccanti, con un particolare saporino di prezzemolo, non le abbiamo mangiate più. Alla sera, quando stavamo per entrare in casa con una scatola di datteri da regalare a mio padre, appena prima di bussare sul vetro, mio zio mi diceva: «Va be’ gli indiani hanno ragione. Ma nei film ci vuole sempre un cattivo da picchiare. Sennò che cinema è?».
Tratto da “Il sole e la neve”