L’essenza di Jean Giraud risiede proprio nella scelta dello pseudonimo che lo ha reso popolare in tutto il mondo: Moebius, riferendosi alla figura creata del matematico tedesco che, imponendo torsione a un anello, dimostrò la forma che ha un solo lato e un solo bordo. Un nastro chiuso unito dal lato corto, che non ha né fronte né retro. Seguendone il profilo si passa da un lato all’altro in continuità, senza interruzioni di forma e spazio. Le suggestioni del nastro di Möbius permettono l’avvicendarsi di scambi dimensionali, di gesti eterni, di suggestioni poetiche sospese tra sogno e realtà, di sdoppiamento e di distorsione spaziotemporale. Una soluzione continua e armonica. Una forma la cui efficacia risiede proprio nel suo valore simbolico quale modello di contemplazione. La rappresentazione grafica del senso della continuità.
In quest’accezione va considerata la vita e l’opera del parigino che, formatosi alla scuola franco-belga del fumetto western, firma ventinove volumi di Blueberry, un vero e proprio successo editoriale durante il quale mescola sapientemente alla struttura tradizionale della scuola di Joseph Gillain, gli stilemi cinematografici di John Ford e di Sergio Leone, conferendo al fumetto fluidità narrativa esaltata anche dalla nuova tensione drammatica del disegno al tratto. La fortuna di Blueberry, a firma GIR, gli permette di portare avanti i suoi progetti personali, firmando la sua libertà espressiva come Moebius. Agli inizi degli anni Settanta in Francia si affermava il movimento del fumetto “adulto”, derivante dall’underground statunitense e dal desiderio di liberarsi dalle censure imposte sulle pubblicazioni per ragazzi.
“All’epoca mi trovavo spesso in uno stato di esaltazione… tornavo a casa in tutta fretta per disegnare una pagina, talvolta due, fino a notte, fino a cadere sfinito. Al mattino potevo ritrovarmi davanti a tavole assurde o poco interessanti, ma qualche volta mi capitava di completarne alcune per farne racconti di quattro o sei pagine. Le prime due pagine non erano altro che una burla grafica, una mistificazione che non poteva né doveva portare a nulla. Tuttavia cercavo di trasporvi una parte di ciò che ero, di ciò che vivevo o avevo vissuto. Misi le tavole in un cassetto e le dimenticai”.
Jeanne-Pierre Dionnet aveva l’abitudine di frugare nei cassetti di Giraud e lo pubblicò su Métal Hurlant, dove lo spirito sperimentale e la nuova forza espressiva di Moebius si rivelano. Su quelle pagine uscirono la serie Il garage ermetico di Jerry Cornelius, lo ieratico Arzach, e dal 1981 al 1988 le 291 pagine di Incal scritto da Alejandro Jodorowsky. Sospeso tra surrealismo e barocco post-moderno Moebius si racconta attraverso un disegno minimale ed essenziale. Racconta storie intrise di sagacia e humor grottesco, affronta veri e propri percorsi di crescita spirituale attraverso il veicolo del fantastico e dell’onirico, conferendo a ogni singolo elemento grafico una bilanciata e puntuale carica emozionale.