Ero in libreria e piuttosto pigramente scorrevo con gli occhi lo scaffale dei libri fotografici. Non trovavo niente di particolarmente interessante. A un certo punto lo vedo. È lì, piccolo e nero, piuttosto anonimo. M’incuriosisce decisamente. Lo prendo, lo apro, comincio a sfogliarlo. È così che mi sono perso nel mondo di Mister G.
Mister G. è Gilbert Garcin, marsigliese, classe 1929.
Garcin non è proprio un fotografo nel senso più comune del termine. Per buona parte della sua vita ha fatto tutt’altro e solo dopo il pensionamento ha iniziato a trovare nella fotografia un ottimo mezzo di espressione, che gli ha permesso in pochi anni di raggiungere la ribalta internazionale. Mister G. è anche il titolo del suo ultimo libro: una raccolta raffinata delle sue opere, uscita alla fine del 2011.
I suoi lavori fotografici sono opere singole; ogni immagine ha un titolo ben preciso, che fornisce anche la chiave di lettura. Garcin nella sua poetica ha deciso di rinunciare al mondo esteriore e di dare vita, al contrario, a un mondo inesistente e surreale, abitato da un unico personaggio: il “Signor Nessuno”, uomo senza nome e senza storia nel quale ognuno di noi trova il suo alter ego: anziano, abbigliamento piuttosto anonimo, solitario, spesso perso nei suoi pensieri. Spesso ripreso di spalle, con le mani incrociate dietro la schiena, oppure ripreso di fianco, intento a svolgere improbabili azioni.
È un grande eroe il “Signor Nessuno” di Garcin, eroe/attore a cui è affidato il ruolo di impersonare metafore, allegorie e paradossi di quel teatro dell’assurdo che è l’esistenza umana. Così come un moderno Cavaliere Errante senza nome sempre pronto a scontrarsi/confrontarsi con complessi, insicurezze, paure più o meno ataviche e altre vertigini della vita.
Le immagini di Garcin sono piene di riferimenti colti e di analogie culturali; spesso anche in modo lampante. L’accostamento più forte è sicuramente legato al surrealismo: non quello contorto di Dalì, ma quello più “lucido” di Magritte. Più spesso è lo stesso Garcin a creare vere e proprie reinterpretazioni di opere d’arte, e quando questo accade, allora troviamo Klee o Frank Kline. Anche i riferimenti alla letteratura non mancano certo: dalla satira sottile di Voltaire all’esistenzialismo di Camus o Sartre; ed è proprio a Camus che, prendendo in prestito il finale del suo saggio “Il mito di Sisifo”, Garcin rende omaggio in una delle sue opere più importanti, “Bisogna immaginare Sisifo felice” (1996).
Ma non definite triste e cupo il messaggio di Garcin, al contrario è estremamente divertente, proprio perché costruito con intelligenza e ironia acuta e raffinata. Dopotutto è proprio non prendendosi sul serio che ci possiamo permettere di ritrovarci attori e antieroi delle nostre più misere messe-in-scena, anche se potenzialmente drammatiche e aberranti.
Ma forse è proprio questo il bello di essere umani.
Immagini: © Gilbert Garcin