Un confronto impossibile quello tra Auguste Rodin e Jackson Pollock. L’uno scultore raffinato vissuto nell’Ottocento, l’altro pittore maledetto che ha cambiato per sempre il modo di dipingere nella New York degli anni Cinquanta. Nessuna affinità, nessun punto in comune, ma l’aver visitato nello stesso giorno le due mostre in corso a Palazzo Reale a Milano ci ha suscitato una riflessione sulle procedure del fare arte, sulle tecniche e sulle poetiche dei due artisti e, perché no, sugli artisti di tutti i tempi.
Tra tubi Innocenti e veli candidi che creano schermi di separazione tra le sculture e tra queste e la stupefacente Sala delle Cariatidi, si dispongono le opere dell’artista francese, tutte in marmo, in una mostra piacevolissima che orienta i visitatori verso due approfondimenti: da un lato il passaggio di Rodin dai modelli neoclassici, attraverso lo studio di Michelangelo, alla tecnica del non finito che permette allo scultore di far emergere le figure dalla pietra lasciata in parte solo abbozzata; dall’altro, ed è quel che più ci interessa, la grande importanza, all’interno dell’atelier di Rodin, degli sbozzatori. Le didascalie riportano i nomi di questi lavoratori del marmo, restituendo finalmente dignità a chi “tecnicamente” ha realizzato l’opera partendo dal bozzetto di creta e gesso dell’artista. Sbozzatori che lavoravano sotto il controllo diretto di Rodin, ma osservando le opere è inevitabile constatare come la tensione si perda in una versione edulcorata, che sottolinea un patinato erotismo, mentre sfuma la potenza scaturente dai bozzetti che fanno capolino accanto ai marmi, o dai celebri bronzi dove i corpi sono più che mai michelangioleschi e la forza comunicativa è tra le massime di tutta la storia della scultura. Nei marmi esposti percepiamo nettamente l’idea, la poetica di Rodin, ma l’esecuzione, come quasi sempre accade nel campo della scultura, è affidata ad altri, senza peraltro minane il carattere di autenticità dell’opera.
Scendiamo al piano terra di Palazzo Reale e lì incontriamo Jackson Pollock, circondato dagli “irascibili”, coloro che insieme fecero grande la cosiddetta Scuola di New York. I veli bianchi lasciano il passo a pareti grigio antracite, a un’atmosfera intensa che focalizza l’attenzione sui dipinti, sui disegni, sui colori; l’allestimento comprende fotografie, video originali, proiezioni che consentono un’immersione in un’arte che, all’opposto di quella di Rodin, gravita attorno al gesto. Nessuna figura, solo energia, pittura fluida che precipita sulla tela con impetuosità, imprimendo il senso del movimento e dell’emozione e di una personalità dirompente e geniale che si fa innegabilmente tangibile nel principale dipinto esposto, Number 27 del 1950. Accanto, le testimonianze di tutti gli esponenti dell’Espressionismo Astratto americano, da Willem de Kooning a Robert Motherwell, da Franz Kline a Mark Rothko, che chiude il percorso con due straordinarie tele inserite in una nicchia, quasi uno spazio sacro di meditazione tanta è la loro potenza.
Due mondi diversi quelli di Rodin e di Pollock, due metodi di lavoro agli antipodi che segnano chiaramente il passaggio del fare artistico che, per tappe, si è fatto sempre più legato all’autografia, ha escluso il lavoro artigianale d’équipe – presente, in pittura come in scultura, dal Medioevo al secolo scorso – fino a diventare vera e propria performance nelle sue varie declinazioni.
Rodin. Il marmo, la vita
Milano, Palazzo Reale, Sala delle Cariatidi
A cura di Aline Magnien in collaborazione con Flavio Arensi
Fino al 26 gennaio 2014
Pollock e gli irascibili. La scuola di New York
Milano, Palazzo Reale
A cura di Carter Foster in collaborazione con Luca Beatrice
Fino al 16 febbraio 2014
Guarda il video dell’introduzione alla mostra, di Luca Beatrice