Quanto farebbe bene a chi pensa che l’unico desiderio di una cicciona sia entrare in una taglia 40 entrare nella storia di Alice. La protagonista di Le ciccione lo fanno sempre meglio (edizioni Baldini Dalai), sequel del fortunato Le ciccione lo fanno meglio, ricompare a bordo della sua Mercedes scassata, con la quale era fuggita dall’altare, mentre approda sulle sabbie di una spiaggia nel paese delle non-meraviglie, animato da tossici, trans, drag queen, molto alcool e rapporti insipidi. Fra le “tre lelle” amiche/nemiche, l’ex grande amore castigafemmine morto e condannato a farle da angelo custode, echi di sirene, lo spasimante famoso e gay e l’innamorato spacciatore, la penna acuminata di Caterina Cavina permette di viaggiare con Alice in un universo sgangherato tra il realismo e l’iperrealismo.
Alice, con il suo esistere, è un continuo calcio in faccia al buonismo. È una “brutta sporca e cattiva” e anche un po’ debosciata, in una società dove alla donna obesa nulla è concesso se non sguardi di compatimento. Lo sa bene chi si dibatte da una vita tra lardo e chili di troppo: la ciccia non va mostrata. Il ruolo della cicciona è quello della comprimaria della vita altrui, quella che si deve limitare a esistere e a farsi notare il meno possibile, l’amica di tutti, quella simpatica, quella disponibile, quella che deve dire grazie perché viene considerata, quella che deve aspirare a trovare un brav’uomo che vada oltre l’handicap del peso e le conceda quello che tutte le donne in fondo devono desiderare: una famiglia e dei figli.
Ecco, le avventure di Alice sono un bel dito medio al pregiudizio. Dimostrano che i chili di troppo non sono stigmate da portare ma una caratteristica al pari del colore dei capelli e che chi si adagia sul pensiero consolatorio “se fossi magra la mia vita sarebbe diversa” sbaglia. Per Alice non esiste il “pensa come sarebbe carina se dimagrisse”, Alice è bella, è bella anche quando si concia come Moira Orfei per servire drink altamente alcolici alla “Strega del mare” o come una “faraona ripiena” nel giorno delle nozze, quando si veste come un fenomeno da baraccone o quando si accoppia ciccia al vento sul materasso putrido di uno sgabuzzino, è bella perché vive tutto sulla sua pelle e cerca la sua strada. E alla fine, ciclicamente, sale sulla Mercedes scassata e riesce a scegliere il meglio per sé.
Alice vive e non si limita a esistere e questo è quanto di meglio una persona, grassa o magra, bianca o nera, bella o brutta, possa fare. La scrittura lineare, cruda e senza fronzoli di Caterina Cavina aiuta a leggere il libro tutto d’un fiato e a immaginarsi visivamente ogni scena, tanto che viene spontaneo chiedersi come mai ancora non si parli di prendere le storie di Alice e portarle sul grande schermo.
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