Le opere di Sabrina Mezzaqui sono spesso popolate di presenze: quelle visibili – come gli scrittori e i poeti – e quelle invisibili – le persone che collaborano materialmente alla realizzazione dei lavori. È un’artista che sceglie sempre materiali leggeri, in particolare le pagine dei libri più amati le quali, attraverso la sua interpretazione e la sua sensibilità, diventano striscioline di carta ritagliate e ricomposte, assemblate in fili di perle o piegate in origami, o ancora che vengono ricopiate fedelmente, lettera per lettera, a mano o ricamate, trasformandole in preziose tele.
E “leggerezza” è senza dubbio la parola chiave della sua poetica, come della sua indole: anche per questo, fin dagli esordi, si è avvicinata all’Arte Povera, riconoscendo tra i propri modelli Alighiero Boetti, mentre uno dei testi che più l’ha colpita, che più le è affine, è una delle Lezioni americanedi Italo Calvino dedicata appunto alla leggerezza, che talvolta rilegge per “ritrovarsi”.
Al centro di molte sue riflessioni sta proprio il libro che diventa uno strumento, perché è sia il materiale primario che costituisce l’opera sia la principale sorgente di idee, di immagini e di visioni. I lavori di Sabrina Mezzaqui nascono dall’attraversamento del contenuto del volume e spesso le forme che ne scaturiscono rendono in modo immediato il significato delle parole e dei racconti. Ad esempio, l’artista ha ritagliato tutte le righe dell’Odissea e le ha ritessute in un sistema di trama e ordito, creando una lunga striscia che ora non è più leggibile, ma rimanda in modo diretto e comprensibile a tutti alla storia di Penelope, al suo continuo tessere e disfare. L’opera nasce così da un’immagine già contenuta tra le righe del poema omerico.
Il processo manuale, assolutamente certosino, di ritaglio, ricamo, cucito, assomiglia molto da vicino a una preghiera collettiva recitata attraverso le mani, e collettivo è il processo di “produzione” che trae origine dalla storia delle botteghe antiche, dove gli artisti si circondavano di un gruppo di persone che collaboravano alla realizzazione dell’opera finale, sotto la guida del maestro. Il mito attuale dell’artista come eroe solitario è infatti un concetto molto recente e culturalmente ci corrisponde profondamente, soprattutto in Occidente, ma Sabrina ha scelto di percorrere la strada della tradizione che le permette anche di risolvere sia un’esigenza tecnica di praticità, sia una necessità interiore di svelare il valore prezioso del lavoro del gruppo. Quest’ultimo, nato per “autogerminazione spontanea”, partecipa con coinvolgimento e passione, come dichiara l’artista, ridimensionando in parte la responsabilità individuale. “Con più mani, con più teste e con più cuori credo che l’opera acquisti un valore maggiore”, afferma Sabrina Mezzaqui, mentre le sue opere delicatissime mettono al centro la materia fisica della letteratura e le parole si svelano in nuove creazioni.
Copertina: Sabrina Mezzaqui, Che tu sia per me il coltello, 2014, libro intagliato (David Grossman, Che tu sia per me il coltello, Mondadori), ritagli arrotolati e infilati, colla, filo, foto Rino Canobbi, courtesy Galleria Passaggi, Pisa e Galleria Minini, Brescia.