(…) Si scatenò così il mio interesse. Poco ormai avrebbe importato se il racconto vero e proprio si fosse poi rivelato una bufala bukowskiana o un conciso stilema londoniano, la domanda “cosa ci fanno degli innocui pesci rossi in un racconto di uno dei più violenti e crudi giallisti del Novecento?” era ormai formulata, “non attirerebbe forse l’attenzione del pubblico un titolo del genere, per contrapposizione, spuntando dalla costina di un volume accatastato in mezzo a una scansia riservata al giallo, mentre dovrebbe comparire invece, salvo un errore del commesso, fra i manuali di pesca subacquea o i trattati di ittica? Sicuramente più che un titolo giallo fra i gialli…”
Come dice sempre il mio editore, “se vuoi nascondere davvero una cosa devi esporla insieme a tante altre dello stesso genere“. Ma questa è intuizione, la forma più alta della ragione, per dirla con Spinoza, oltre a quello non si può andare, si può solo tornare in dietro, “À rebours”, (controcorrente), compiacendo Huysmans, “Walking in regress”, secondo Carmelo Bene. Intrattenimento e niente più, secondo me stesso. In un’epoca in cui tutti si scatenano per essere i più moderni, nessuno fa a gara per essere il più obsoleto, ma restando sempre e comunque costante la richiesta di antiquariato si può trovare un mercato libero; lo abbiamo già recepito, senza forzature. Per questo Goldfish è stato realizzato, a prescindere dal fatto che uno lo sappia o meno, con le tecniche degli anni Trenta, pensato con la specularità del 2000, e poi editato in confezione “retrò” simile, per tatto e odore, a quelle degli anni a cui vuole riferirsi, conquistandosi un posto oltre il mondo dell’utile, dell’interessato e non dell’interessante, dell’ovvio.
Se apprezzerete il mio Goldfish non applaudirete l’ovvio, bensì il suo contrario, esplorando “l’assente possibile” che se per il vecchio filosofo liberale Karl Popper (suo codificatore) poteva essere la pioggia prima della pozzanghera, per noi è il criminale prima di aver compiuto il fatto… anche solo dallo scorcio di un titolo, da un mezzo paragrafo rubato, dall’ osservazione di un commesso svogliato in libreria, l’indagine è partita, l’interesse stimolato, la sinossi è scattata, il “walking in regress” irreversibile.
Dai banchetti caotici di un mercatino dell’usato, dagli scaffali impolverati di una bibbliotecha, con tutta la forza della sua splendida, essenziale inultilità di cui solo la narrativa d’evasione può giovarsi, non omologandosi alle mode dei tempi e quindi anche alla loro mortalità, autodefinendosi con la frase categorica lasciataci dal più “maledetto” degli scrittori, Oscar Wilde: “Tutta l’arte è completamente inutile”. Così come spero siano inutili anche le righe che ho appena scritto, altrimenti, invece di “scoraggiare” giovani scrittori o fumettisti in erba avrei abbondantemente foraggiato un lauto vivaio di piccoli criminali in erba e, si sa, i piccoli criminali a volte crescono.
(fine)