(…) Tutto questo non va bene perché è complicato, mentre invece l’arte del delitto è semplice, non dobbiamo mai scordarlo! Ciò che muove il “coltello dell’assassino” non è mai qualcosa di sofisticato, o meglio, può esserlo nella forma, ma certo mai nel contenuto (movente). Questi è sempre spinto da qualcosa di molto basso, bassissimo… dalla vendetta privata all’omicidio per l’eredità, alle false motivazioni politiche, la base che attiva la mente criminale fa leva sul più arcaico e tribale sentimento umano: l’eliminazione del prossimo.
Poco importa se a relizzarlo è un ingegnere elettronico piuttosto che uno spacciatore di colore appena uscito dal ghetto: il crimine è crimine, così come gli affari sono affari. Capite bene che se non ci si ficca bene nel cervello questa prerogativa diventa impossibile per qualsisi soggettista, anche il più preparato sull’argomento, realizzare una buona scrittura poliziesca. Sarebbe placidamente battuto fin dall’incipit dal primo ex galeotto al quale venisse l’idea di tradurre in paragrafi anche solo un centesimo della sua esperienza vitale e, d’altro canto, ogni tentativo del precoce intellettuale di ravvivare il proprio racconto aumentando la dose di cinismo e violenza avrebbe il solo risultato, a confronto di chi le ha vissute veramente, di fargli fare la figura del “bambino cattivo che ha pisciato fuori dal vaso”.
Non sto dicendo che per occuparsi di poliziesco bisogna per forza aver fatto vent’anni di galera, aver ammazzato qualcuno o aver commesso una rapina, come hanno fatto il pluripremiato interprete di “Machete”, Danny Treyo, o lo stimato sceneggiatore de “Le iene”, Ed Bunker. Dio ce ne scampi, tuttavia tenere almeno un occhio aperto sulle persone che ci stanno intorno, tanto da poterne misurare la potenzialità criminale, questo sì; partendo dal bar sotto casa, ad esempio, cominciando a chiedersi “con chi sto bevendo un caffè?”. Partendo dal presupposto che se il delitto perfetto esiste non sappiamo perché è avvenuto, o chi l’ha compiuto, per definizione, davvero non sappiamo con chi stiamo dividendo il bancone dell’osteria.
Le storie sono già scritte, gli intrecci perfettamente composti sul piatto d’argento del vivere quotidiano, il delitto è servito. All’autore non spetta altro che mettere a disposizione la sua capacità sinttattica, o grafica, per la rappresentazione di un qualcosa che “splende di luce propria”, senza costrizioni, lasciandosi andare, facendosi in qualche modo da parte; “bisogna essere morti per essere veramente creatori” epittaffiava Thomas Mann in apertura del suo splendio Tonio Krueger (1901). In questo senso è stato Goldfish a scegliere me, fin dal primo momento che lo sentii menzionare: “perché non disegni Pesci Rossi?” mi disse un amico tanti anni fa,”è un racconto di Chandler del ’36.
(continua)