Intorno al poliziesco si è scritto tanto ma “poco bene”. E le poche righe sensate sull’argomento sono state scritte dallo stesso Raymond Chandler, l’autore di Goldfish, appunto, nelle sue «Dieci regole del giallo», comparse nei primi anni Trenta sulle pagine della rivista hard boiled Black Mask, matriarca del poliziesco moderno, e poi ripubblicate come introduzione alla sua più celebre raccolta di racconti uscita postuma nel 1964, “La semplice arte del delitto”. La prima regola dice: «per motivare l’interesse di un lettore tanto da spingerlo a non abbandonare un racconto, o un romanzo, dopo i primi paragrafi, ci deve essere all’inizio un bel cadavere, un morto ammazzato, per la precisione, e più il morto è morto, meglio è». Parole sante!
Sì, perché ci sono morti più morti di altri; certo, si potrebbe pensare “ma che diavolo, quando uno è morto è morto! non ci possono essere diversi stadi della morte…” Invece sì. tanto per fare un esempio: un morto di arresto cardiaco, anche se causato da un fattore umano esterno (quindi omicidio) è molto diverso da un morto ammazzato torturato per ore e ore, e non solo per quanto riguarda la legge al momento di giudicarne il crimine. Non ci vuole molto per capire che il morto torturato nell’autolavaggio alla Scorsese sarà molto più interessante di un morto infartato in una sala da tè alla Agatha Christie, che peraltro non credo abbia mai interessato veramente nessuno, nemmeno i lettori puritani del 1890.
I lettori di ieri come di oggi, dall’Iliade in poi, anelano alla rappresentazione della violenza, bramano il sangue, la vendetta, il massacro, l’ecatombe… e questo noi vogliamo dar loro, la catarsi, la purificazione dalle loro paure attraverso la messa in scena delle stesse. Ma perché la catarsi avvenga è necessario che «il lettore si possa identificare in una situazione plausibile, con personaggi plausibili, in un contesto plausibile», e questo in una parola sola significa realismo.
Nel poliziesco inoltre è fondamentale che il tutto avvenga alla fine, o a monte, dello scioglimento di un enigma, che appunto è condizione “necessaria e sufficiente” per delinearne il carattere “giallo” e renderlo diverso da tutti gli altri generi. Capite dunque che i problemi si affastellano. Se prima poteva cascare soltanto un asino, adesso ne possono cascare due, tre, centinaia. Lo scrittore esordiente si chiede: “come ci salto fuori adesso? E va bene il contesto storico, e va bene la plausibilità dei personaggi, e va bene la giusta quantità di violenza, e ben venga la catarsi, ma se il tutto deve anche congruire con la soluzione di un enigma credibile, sono fottuto!”.
E qui il giovane autore commette il suo primo errore, anzi, il secondo, considerando che il primo è quello di essere giovane: pensare di dover inventare qualcosa, di doversi ingegnare a dismisura, dover oliare chissà quale meccanismo celeste perché la giusta musa ispiratrice sfiori timidamente il suo intelletto e gli dia l’illuminazione del caso.
(continua)