A Cannes piace bizzarro. In famiglia, con gli amici, in società, nei consessi carnali. L’eccentricità del comportamento spinta al parossismo contraddistingue alcuni dei film che stiamo vedendo al Festival, quest’anno, in concorso e nelle sezioni parallele. Storie e personaggi sempre sul crinale della follia, che per assecondare i propri impulsi, o quelli del regista, approdano in territori inesplorati della propria identità, personale, sentimentale, fisica e sessuale. Ma che cosa fa, di un agire, di un moto dell’anima, oggetto di stravaganza? E’ materia per gli psicologi, tuttavia noi proviamo a tracciare una mappa dei titoli più interessanti di questo filone.
‘Rester Vertical’ è un film di Alain Guiraudie della selezione ufficiale, in cui Leo, sceneggiatore in crisi creativa, se ne va in tour nel Sud della Francia alla ricerca del lupo, che gli dicono si trovi nei boschi lì vicino. Intanto, fa conoscenze: di una pastorella di capre, con la quale ha un bambino, di un anziano morente, che abita nelle campagne insieme a un giovinetto di provenienza sconosciuta. E di una sorta di veggente 2.0, che però abita in una foresta. Non è nemmeno colpa di Leo se, affetto da una originale sessualità, si avvicina ad alcuni dei personaggi citati prima. Anche loro sono ‘disegnati’ in modo curioso, da attirare prima la sua attenzione e poi i suoi sensi. C’è bisogno di scomodare la macchina della verità, come fa la veggente dei boschi con Leo, per capire che cosa alberga nel suo cuore e che direzione prenderà la sua vita? Quella di un ragazzo padre il quale, nonostante avventure di ogni tipo, riesce a conservare intatto l’amore per il proprio bambino? Eppure accade. Leo coperto di ventose e sensori fra le fronde degli alberi. Accade pure che il padre della pastorella, dalle sembianze di un orco, in realtà innocuo, diriga lo sguardo su Leo, ma si fermi al momento giusto. Non si può stare un attimo tranquilli, nella Camargue.
Eccoci a ‘Ma Loute’, di Bruno Dumont, con Juliette Binoche e Valeria Bruni Tedeschi. Un regista che non ha paura di guardare in faccia il lato più spaventoso della nostra società, la sua irridente e irriverente superficialità, diciamo quella privilegiata di nobili ritirati nella loro villa di campagna, in Francia, dove coltivano hobby come il canto, il cucito, l’aperitivo e dove i costumi sono aperti, più per assecondare la comune tendenza vigente nell’aristocrazia, che per una reale vocazione. Fabrice Luchini, meraviglioso attore di commedia francese, interpreta il marchese rimbambito e chiuso in assurdi rituali, pose e vocabolario pomposi e inutilmente enfatici. La moglie (Bruni Tedeschi), soffre di nervi e silenziosamente rivendica il suo ruolo di padrona, tenendo a distanza una piccola comunità di pescatori cannibali e tentando di frenare gli istinti dei figlioletti in crescita, pur non avendo mai impartito loro una vera educazione. Ma questo è niente. I nodi vengono al pettine con l’arrivo della sorella del protagonista (Juliette Binoche) cantante, ma anche petulante e lamentosa donna che creerà più di un mal di testa alla povera marchesa. Chi guarda il film è attraversato da un atroce dubbio: come mai tutti hanno riflessi così rallentati e si parlano come fossero a un perenne banchetto di nozze? Diciamo che rapporti fra consanguinei sono sconsigliati anche per questo motivo…
Ma Dumont non arriva a ‘Ma Loute’ per caso. E’ lui l’autore della serie tv P’tit QuinQuin, costellata di personaggi surreali, dal bulletto protagonista del telefilm agli investigatori, Sherlock Holmes e Watson versione cabaret. In ‘Ma Loute’ ci sono invece Stanlio e Ollio, della polizia di Calais, con Ollio affetto da un difetto di pronuncia e al centro di un episodio da vero uomo cannone, appeso a un filo, sulla spiaggia.
La moda secondo il danese Nicolas Winding Refn ? Un circo Barnum cattivo, demoniaco, in cui la bellezza è un martirio, la magrezza un’ossessione ma che si dà per scontata. E’ ‘The Neon Demon’, in gara anch’esso a Cannes per la Palma d’Oro, cosparso di immagini tanto seduttive e lisergiche, quanto repellenti. Vi regaliamo la prima sequenza, una delle migliori. Jesse, modella neanche 16enne, sdraiata su un divano barocco, vestita di un abito blu laminato e cosparsa di sangue. Suoni industrial – metal nella stanza. Basta così, no?
Monsieur Xavier Dolan è giustamente considerato uno dei giovani cineasti più promettenti della nostra era. Nel nuovo ‘Juste La Fin Du Monde’ mette in scena lo strazio di avere una famiglia, amarla e non esserne corrisposti. La madre è una erinni istericamente allegra, che travasa la sua bile malata su chiunque gli capiti a tiro, gli altri si parlano sopra, addosso, parlano soli, in coppia, a tavola. Solo lo scrittore teatrale protagonista (un ottimo Gaspard Ulliel) esprime se stesso e il suo dolore nel silenzio. Qui oltre alla storia ammiriamo la tecnica di regia. Originale ed efficace. Primi piani appiccicati alla cinepresa e volti in secondo piano sfocatissimi. Come a dire, tu, là dietro, non esisti.