Se dovessi scegliere dove vivere una seconda vita, d’istinto risponderei “in un film di Wes Anderson”. Chiudo gli occhi e mi ci vedo. Un goffo boyscout in fuga d’amore dal campo Ivanhoe. Cresciuto, avrei frequentato il liceo di Rushmore, per andare poi alla ricerca di mia madre, salendo su un treno per Darjeeling. Senz’arte né parte, avrei tentato un colpo da dilettanti per sistemarmi e, dopo rocambolesche peripezie, avrei messo su famiglia, in una vecchia palazzina coi mattoni a faccia vista. Ma sarei comunque rimasto un tipo poco incline alla vita domestica e così sarei fuggito, imbarcandomi sulla Belafonte con Steve Zissou, alla ricerca dello squalo-giaguaro. Avrei poi girato il mondo, diventando amico del fantastico Mr. Fox. Infine, ormai vecchio e stanco, mi sarei ritirato nel Grand Budapest Hotel, per morirvi in pace, ripensando alla mia vita straordinaria.
Questo è il mondo di Wes Anderson, fatto di temi e personaggi che si rincorrono, fuggono, ritornano, si completano da un film all’altro, in un susseguirsi di coloratissimi microcosmi, così narrativamente chiusi in loro stessi, con le proprie regole, quasi “impermeabili” alla realtà esterna, che divengono lo sguardo attraverso cui Anderson esprime la sua intima e agrodolce percezione del mondo. Uno sguardo che si è fatto stile, poetica inimitabile. E si sa bene, Wes o lo ami o lo odi, ma è impossibile restarne indifferenti. Alla stregua di altri celebri colleghi (Malick e Tarantino in primis), l’uscita di ogni suo film è preceduta da una bagarre mediatica. A chi si sente smarrito di fronte a una mancata verosimiglianza nelle sue opere, potrei rispondere di provare a lasciarsi andare, farsi complici di un mondo fiabesco, così come lo descrive la visionaria purezza dello sguardo del regista.
In quest’ultima opera, Anderson spalanca le porte color pastello del Grand Budapest Hotel per offrirci una meraviglia visiva che colpisce il cuore dello spettatore, trascinandolo in una rocambolesca avventura dal sapore vintage, nel coloratissimo e bizzarro universo andersoniano. Ambientato nell’immaginaria Repubblica di Zubrowka, fra le due Guerre Mondiali, il film segue l’incredibile vicenda di Monsieur Gustave H. (Ralph Fiennes), leggendario concierge del prestigioso Grand Budapest Hotel e del suo protetto, l’apprendista garzoncello Zero Mustafa (Tony Revolori), alle prese con un inestimabile dipinto, lasciato in eredità al concierge da una delle sue amanti ricche e ultraottantenni, Madame D. (Tilda Swinton). Inganni, sotterfugi e mirabolanti peripezie sullo sfondo di una dolceamara Europa, che Anderson racconta come suo personalissimo omaggio al grande cinema europeo prebellico.
Voto: 8/10