Cresciuto leggendo le minacce cosmiche dei supereroi di Jack Kirby e Stan Lee, Frank Miller appartiene alla generazione di autori statunitensi che nei primi anni Ottanta guidava la rivoluzione che ha cambiato completamente approccio e direzione al mondo dei supereroi. La declinazione hard boiled del suo Daredevil (maggio 1979-febbraio 1983) prima, e l’introspezione noir de Il Ritorno del Cavaliere Oscuro (febbraio-giugno 1986) dopo, sono tra le pietre miliari che segnano la trasformazione dell’intero genere narrativo dovuto alla mutata tecnica esecutiva del disegno che esalta plasticità e dinamismo, alla rielaborazione della regia della pagina, all’utilizzo più evoluto della colorazione, all’introduzione nel mondo dei supereroi dei risvolti psicologici legati a temi quali amore e morte.
Tutti questi elementi segnano il punto di rottura col passato e aprono nuove prospettive dosando sapientemente nel fumetto le istanze del cinema noir e della narrativa pulp. La sua ricerca grafica e letteraria lo ha gradualmente allontanato dai supereroi impegnandolo per un decennio nell’ideazione e nella realizzazione di Sin City, la serie più a fumetti più originale degli anni Novanta, realizzata utilizzando il contrasto netto del bianco e del nero dando vita a una luce violentissima e abbagliante. Nella sua forma appare come un prodotto editoriale di nicchia, un fumetto apparentemente underground di genere hard boiled che ha raggiunto – grazie alla riproposizione cinematografica di Robert Rodriguez – il grande pubblico del cinema, riproponendo fedelmente il risultato di quella ricerca espressiva così insolita. Le linee sono sottili, e spesso si limitano a definire il contorno degli elementi investiti dalla luce, in modo da tracciarne il limite dello spazio occupato rispetto all’ambiente dello sfondo.
Lo stile grafico di Sin City risponde all’intento dichiarato di proporre al lettore non una raffigurazione realistica delle vicende narrate, ma la visione intima e concettuale dell’ambiente urbano da cui esse originano, rappresentato in modo da riflettere ed enfatizzare la desolante solitudine dei protagonisti di storie borderline. L’assenza quasi totale del colore è dovuta alla volontà di ritrarre quello stato dell’animo umano nella sua concretezza, rendendo così il messaggio più crudo e diretto, suggerito soprattutto dalla resa minimalista dell’ambiente. La tendenza alla sintesi porta Miller a operare un’estrema selezione degli elementi disegnati tanto da rendere lo spazio un luogo senza forma in cui i singoli elementi che compaiono sono illuminati artificialmente in quell’eterna notte che non lascia mai spazio al giorno. Il luogo narrativo diviene quello spazio indeterminato, quel posto che non ha limiti, la città del peccato.
Sin City è un non luogo, un’indeterminata città di fantasia che a tratti evoca San Francisco o Las Vegas, vicinissima all’idea di una città come Los Angeles nella quale può anche nevicare con incredibile frequenza e intensità, espediente narrativo sfruttato per arricchire il racconto con sorprendenti giochi grafici nati dalla grande padronanza tecnica finalizzata all’esaltazione del sensazionale.