“Vi sono rotte nel cielo, che guidano gli uccelli, ma gli uomini non possono vederle. Vi sono rotte nel mare lungo le quali si spostano i pesci. Ma gli uomini non possono vederle. Vi sono linee che uniscono il cielo alla terra, ma gli uomini non le vedono. Ma l’occhio divino le vede”. Recita più o meno così (se non lo ricordo male, poiché non riesco più a trovare la fonte) il meraviglioso passo di una lettera, scritta ai discepoli durante uno dei suoi numerosi esili, da Nichiren Daishonin, lo Shramana del Giappone (come lui stesso amava definirsi), un monaco buddista del XIII secolo alla ricerca della verità. Mi permetterei di aggiungere, sperando di non sembrare irriverente, “ci sono immagini nel silenzio che aprono varchi alle più remote profondità di se stessi, ma gli uomini non possono vederle
La musica dei Sami, popolo per certi versi misterioso che da secoli convive con i rigidi inverni della Lapponia, oggi a rischio di estinzione, prova a descriverle, con Canti Antichi che evocano sensazioni anch’esse, forse, in via di estinzione. Si tratta di una musica arcaica, lo yoik, che utilizza la voce per produrre suoni che provano a descrivere l’invisibile e che, insieme alle percussioni, ricordano molto i canti dei Nativi Americani. I canti yoik sono oggi talvolta (non sempre) contaminati, ma con maestria, da jazz, pop, blues e altri generi musicali. I testi sono piuttosto ridotti e raccontano, come molti canti popolari, della vita di tutti i giorni, di persone o luoghi. Spesso il testo è del tutto assente e si tratta solo di suoni prodotti dalla voce come alcuni mantra.
Sami, Mongoli e in genere popolazioni siberiane o del nord, ma anche Nativi Americani, secondo le più accreditate ipotesi antropologiche, sono in qualche modo legati a un’arcaica matrice comune asiatica. I Sami vivono da secoli in una vasta area tra Norvegia, Svezia, Russia e Finlandia dedicandosi alla caccia, alla raccolta e alla pastorizia con le renne, animale con il quale hanno una relazione indissolubile. I loro sono canti e ritmi legati soprattutto alla trance sciamanica e con i quali è possibile andare in grande profondità nell’esplorazione di emozioni e visioni che scaturiscono dall’ascolto di se stessi. Tale ascolto di solito è reso possibile dal silenzio, interiore come esteriore.
Nelle regioni al di là del Circolo Polare Artico, poco popolate e selvagge, per diversi mesi all’anno coperte da ghiaccio e neve, questi silenzi sono una cosa naturale. Se si passa lì tutta la vita occorre imparare a conviverci, ad amarli, spesso a utilizzarli. Se ci si passa per un viaggio o delle esplorazioni si può imparare a conoscerli e a farne tesoro per scoprire possibilità interiori che qualcuno poteva credere sopite.
(continua)