Tempo fa mentre discutevo sulla paternità artistica della morfologia di Alien (intendo il mostro spaziale le cui gesta vennero inaugurate da Ridley Scott) con un tizio (si sa, ognuno ha i propri gusti nel come perdere tempo), mi accorsi con una certa sorpresa che era impossibile far cambiare opinione al mio interlocutore, perché costui era un fedele, un adepto del culto di Moebius.
Io sostenevo correttamente che Alien proveniva dai pennelli di Giger, mentre l’integralista continuava, contro ogni evidenza e contro il capannello di persone che nel frattempo si era radunato attorno a noi disputanti a guisa di pubblico non silente, a insistere circa la paternità di Moebius. Ora, che Moebius sia stato interpellato per primo dalla produzione è vero. Però è altrettanto vero che il mostro finale è da attribuire a Giger, infatti basta guardarlo (il mostro, non Giger) e confrontarlo con dipinti e sculture dello svizzero stesso, per fugare ogni dubbio.
Avevo a che fare con un fanatico di Moebius. Era una cosa che faceva riflettere. Una tale fede andava capita. Come si era formata tanta ammirazione? Non mi risultava vi fossero altri disegnatori così ecumenicamente adorati e “ciecamente creduti”. E poi bisognava chiedersi: il culto seguiva ritualità corrette? L’atteggiamento dei fedeli era quello dovuto?
E qui rispondo subito NO.
Spesso ho immaginato Moebius ridacchiare guardando le tavole appena disegnate, piene di personaggi impresentabili su qualsiasi altro fumetto, vestiti un po’ da clown, un po’ da ufficiali coloniali, un po’ da nordafricani, un po’ da guardie rosse prima maniera e un po’ da mille altre cose magari alla Little Nemo. Oppure all’assurdità quasi patafisica delle storie, impossibili da seguire, in quanto vere e proprie non-storie, con fili rossi da permettere eventuali sinossi di poche righe. E i tanti personaggi ininfluenti ed effimeri. E le didascalie assolutamente inutili che rimandano a luoghi non illustrati e situazioni mai spiegate o che anticipano ciò che non verrà sviluppato, costringendo il fanatico a un fideistico e disperato tour de force ermeneutico. E animali che sembrano enormi polli arrostiti, oppure caricature di dinosauri, oppure caricature di caricature.
Naturalmente sto parlando del Moebius Moebius, non del Moebius Jean Giraud. Sto parlando della fantasia in presa diretta con la carta e la matita, non del pur pregevole Blueberry con la faccia di Belmondo (“faccia da schiaffi” che subito francesizzava, molto in voga all’epoca anche sulle copertine dell’italiano Mulazzani per il Commissario Sanantonio di Dard). Sto parlando del Garage ermetico, suo capolavoro, et similia, che tanto fecero giustamente gridare al miracolo critica e pubblico mondiali. Erano lavori in e di assoluta libertà, coi quali Moebius si dimostrò autentico grande artista e tenne finalmente nel più assoluto spregio le regole scritte e non scritte di come-deve-essere-fatto-un-
Che risate dev’essersi fatto Moebius.
Ora che se ne è andato, di lui bisognerebbe principalmente ricordare quelle cosette da nulla che in realtà mostravano la sua creatività, e l’intelligente sense of humor. Nel Garage ermetico, guardate la prima tavola che viene dopo il quinto episodio (che, badate bene, non fa affatto iniziare un sesto episodio). Nella prima vignetta, di profilo si vede il Maggiore Grubert a cavallo di un Malro (come, non sapete cos’è un Malro? Ma cosa vi insegnano a scuola?). Si evince da un particolare che l’esemplare di Malro in oggetto è maschio. Nella terza vignetta il Malro mostra le terga e avendo la coda alzata ecco che invece rivelasi essere femmina. O entrambe le cose o in alternanza secondo chissà cosa. E come avverte una didascalia iniziale, ciò accade in territorio Schwans. Come? Non conoscete il territorio Schwans? Che roba… tsk… tsk…
Non vi resta che leggere o rileggere i fumetti di Moebius. Non saprete ugualmente che roba è il territorio Schwans e neppure dove si trova, ma vi divertirete.