Alla parete c’è un pannello con tante fotografie: “Sono tutti amici”, spiega Pino Guzzonato, e si riconoscono i volti di Luigi Meneghello, di Mario Rigoni Stern e di Marco Paolini, tra i tanti. Sul tavolo, il libro di bordo, un collage di istantanee di ogni incontro, una raccolta di calligrafie, testimonianze e ricordi.
Guzzonato ha scelto un luogo carico di significati per impiantarvi il suo atelier: una stretta valle nelle prime Dolomiti vicentine, un solco scavato dal torrente Acquasaliente da cui escono anguane, elfi e coccodrilli che riposano in giardino. E più che atelier è una manifattura, una casa-fabbrica dove si fa con le mani, dove si costruiscono sculture mobili come la Macchina per i baci, si tagliano pietre e si cuoce il pane, si distruggono stracci e libri antichi per dar loro nuova vita.
Pino Guzzonato è un artista alchemico e patafisico, ma a modo suo. Si occupa di poesie e di sassi, lavora il legno e l’acciaio, decora con filo metallico e incide con il laser, imprime segni con la gelatina fotosensibile e raccoglie insetti africani mummificati. Poi ama il plexiglas e compone sculture trasparenti che contengono l’esistenza stessa, come le colonne trasparenti del Bosco, inscatola in teche i suoi libri d’artista, ma soprattutto, crea la carta e ne fa opera d’arte.
Il procedimento è quello millenario della macerazione di un elemento contenente cellulosa e della sua trasformazione in un foglio sottile e compatto, che l’artista fa proprio tramite la scelta di materiali inconsueti: con i jeans ricava fogli morbidi e azzurri, con la juta ruvidi e odorosi, e poi il bambù, il cotone, libri irrecuperabili che talvolta lasciano sul nuovo foglio il segno di qualche lettera sopravvissuta all’ammollo. La carta, per l’artista, è supporto per le grafiche, è anima di libri impreziositi da testi di poeti, scrittori, artefici della parola che dialogano con le raffinate incisioni, è anche materia umida con cui fare i calchi di porte, di tronchi, dei suoi guanti da lavoro, in un’operazione che è prima di tutto un atto di memoria e risignificazione, di attenzione verso le piccole cose invisibili ma pregne di significato; e le opere, così leggere, diventano un simbolo parlante di resistenza contro la distruzione e l’oblio operati dal tempo e dall’uomo. Le carte di Pino Guzzonato sono superfici profonde che chiedono di essere toccate e che raccontano di storie passate e di una natura amica dell’artista.
“Qui sembra di essere fuori dal mondo, e invece siamo dentro a un mondo“, ci svela quest’uomo antico e accogliente – come lo definiva Carlo Mazzacurati – e ha proprio ragione, è un mondo popolato da un ricco bestiario che fa capolino qui e là, in ogni angolo della vecchia fabbrica: Pino Guzzonato, prima di salutarci, ci racconta con affetto delle faraone, animali straordinari e incompresi, mentre le lucertole di carta e i corvi d’acciaio paiono ascoltare, interessati.