Primo, osservare.
Poi ascoltare, i suoni dei luoghi e le voci, le storie e i racconti delle persone.
Infine, viaggiare, esplorare l’estremo nord delle terre vulcaniche e gelate dell’Islanda, attraversare l’Italia dalla Val d’Aosta alla Sicilia e affrontare la natura sterminata dei deserti africani e del continente americano.
Sono questi i punti di partenza del lavoro di Matteo Mezzadri: nato dalla pittura, si è orientato con sempre maggiore convinzione verso la fotografia e il video, mezzi che gli permettono una presa diretta, una raccolta di grandi quantità di materiali per poter costruire progetti coerenti e curati fin nei minimi dettagli.
Da ogni serie, da ogni produzione, trapela un meticoloso – quasi scientifico – processo di riflessione e di costruzione della singola immagine tanto quanto dell’idea generale, con un rimando continuo a quelli che Matteo Mezzadri considera maestri: i grandi artisti dell’Arte Povera, i fotografi ritrattisti del Novecento, quelli che con un unico scatto catturavano l’intera vita del soggetto fotografato.
Nel corso degli anni sono quindi nati Rifiuto assoluto, fotografie dal forte impatto surrealista che documentano la realtà degli scarti della “civiltà” abbandonati nel deserto; A step behind, una riflessione sull’esigenza imprescindibile di ritrarre ogni cosa, in un processo di appropriazione dei luoghi e delle persone che sembra aver attinenza con la bulimia; il recentissimo Città minime – presentato alla prestigiosa MIA Art Fair 2013 di Milano –, ricostruzioni che partono dall’elemento base dell’ambiente urbano, il mattone, per offrire suggestioni metafisiche di luoghi affascinanti e inquietanti, dove l’uomo scompare lasciando scheletri vuoti, ma non per questo privi di vita e di energia. E poi le installazioni: All things organics con gli intensi ritratti dei protagonisti del lavoro sulla terra, e con la terra stessa raccolta in sacchi provenienti da sette differenti luoghi, all’interno dei quali si conservano i semi originali da lasciar germogliare in un lungo processo spontaneo.
In ordine di tempo ultimi vengono i video: e l’ultimo appunto (Neightbors Machine) è ancora uno sguardo da vicino sulla città che lascia la piacevolezza estetica di inquadrature ordinate e allo stesso tempo un senso di inquietudine e di alienazione nelle sequenze in movimento dei dettagli dei grattacieli, nelle simmetrie dove gli esseri umani si affacciano quasi per caso, con aria un po’ smarrita e disinteressata.
Nei suoi “percorsi visivi” Matteo Mezzadri inventa una nuova realtà, immagina un altrove che scardina i consueti punti di vista e lo traduce in fotografie, in video, in opere che quasi rimandano a mondi fantascientifici, e certo a un altrove talvolta partecipato, altre volte distaccato e fortemente critico.