Donne in sottoveste bianca che lascia trasparire corpi minuti – quasi da bambina –, fisici fragili e diafani che esprimono solitudine, volti ingranditi e occhi luminosi che fissano davanti a sé con fermezza e decisione. E poi animali: feroci e selvaggi o dolci e domestici, affiancano le figure femminili, senza che vi sia mai comunicazione o dialogo. Tutto, nei dipinti di Ludmila Kazinkina, si colloca in un’atmosfera ovattata, una sorta di nebbia grigioazzurra che circonda e annulla lo spazio, lasciando emergere solo dettagli spiazzanti o pallidi orizzonti.
“Io racconto dipingendo”, mi spiega la pittrice di fronte a un’opera non ancora finita; ed è evidente il suo intento di dare significato alle tele e ai disegni, a legarli a una profonda riflessione sulla condizione femminile, sul rapporto della società occidentale con gli animali, sul pensiero che ormai prevale sul fare. Le sue inquietanti donne silenziose, con aria sofferente, si interrogano e interrogano chi le guarda sulla violenza, fisica o psicologica, di cui sono vittime. Mentre il corpo si rimpicciolisce, si rannicchia e cerca protezione, il capo si estende perché contiene la facoltà di pensare, o la potrebbe contenere anche quando rimane vuoto. Ma non potendosi negare la “bestialità” dell’essere umano, questa si manifesta all’esterno negli animali che sono anche immagini dell’inconscio, dei sogni e degli incubi.
Nelle opere di Ludmila compaiono spesso nastri, fili e ragnatele che sembrano legare le figure imprigionandole in una gabbia che le avvolge o costruire un discorso funzionale a svelare le menzogne, come nella serie leggera – perché fatta di polistirolo, stoffe di lenzuola e garze lievi – “Storie cucite con il filo bianco”, titolo tratto da un modo di dire russo: la bugia è come una cucitura bianca, la si vede subito.
Ludmila è infatti russa, si è stabilita in Italia da una decina d’anni ma porta avanti progetti in Asia (Singapore, Pechino dove è in corso una sua mostra) e per i prossimi mesi si impegnerà nell’organizzazione di un festival culturale comprendente una sua esposizione a Salekhard, a nord della Russia, città situata esattamente sul circolo polare artico: un luogo dove la temperatura può raggiungere i meno 40 gradi e dove le popolazioni vivono in quello che da qui potremmo definire “un altro mondo”, un mondo nel quale spetta agli sciamani la decisione sulla data della grande festa delle renne. L’artista porterà le sue donne, le renderà forse più ferine, più naturali e le avvicinerà ancora di più a riferimenti che sempre le accompagnano, tra tutti il film Solaris di Tarkovskij.
L’armadio del suo atelier è pieno di opere, di progetti; le grandi tele sono arrotolate da quando ha traslocato da un casolare di campagna all’appartamento in centro; negli angoli delle stanze i dipinti – “molti sono all’estero, alle mostre” – sono accumulati e trattengono sotto teli protettivi la loro forza, le loro storie; sembrano pronti per essere disvelati, facendosi portatori di messaggi e significati.