Sono mani che scolpiscono, sono mani che con gesti precisi e misurati modellano l’aria intorno alle parole, come modellerebbero la creta intorno a un’immagine o guiderebbero lo scalpello lungo le linee di un’idea. Sono mani di uno scultore, quelle di Graziano Pompili, che recano i segni del fare e raccontano di forza ed esattezza, di delicatezza e di cultura. Quella cultura che trae molto da Heidegger, nel richiamo a titoli da cui traspare già molto del significato del suo lavoro: Poeticamente abita l’uomo, Sotto il cielo sopra la terra, Der Feldweg – Il sentiero tra i campi. Il resto è una poetica che prende vita dalla storia: “Veneri preistoriche, palafitte della pianura povere di tracce e ricche di mistero; incisioni rupestri, forme classiche in marmo e terracotta; i caratteri delle prime scritture pressati sulla tenera argilla… brani di storia che compongono l’alfabeto del mio linguaggio artistico”.
Esule da Fiume a Faenza ancora bambino, Graziano trova nella cittadina romagnola il luogo congeniale a quello che sarà, anni dopo, il suo mestiere: è tra argille e torni, tra forni e smalti che fa sua la ceramica, che impara le tecniche della plastica e comincia a raccogliere antichi cocci dalle campagne circostanti. Piccoli frammenti quasi senza valore, ma che recano il segno dell’uomo nelle loro decorazioni scolorite e scheggiate, che contengono la funzione del quotidiano, anche quando non hanno più una forma compiuta. E in questi piccoli ritrovamenti sono già in essere tutti i temi dell’opera di Pompili che, attraverso forme primarie e minimali, attraverso segni sottili sulla materia, ci conduce in un mondo incantato dove l’anima trova rifugio e rimette assieme i pezzi dei pensieri mediante un unico filo conduttore, quello della memoria.
Il suo laboratorio è un fienile accanto a una casa nella campagna reggiana, calda e accogliente: a piano terra un laboratorio vivo e pulsante, dove crisalidi di opere dialogano intensamente con il loro autore, al piano superiore un atelier raffinato, perfetto nella sua semplicità, disseminato di sculture in marmo e granito, dalle superfici alternativamente ruvide e grezze tanto quanto lisce e morbide, in modo che la pietra possa disvelare tutte le sue potenzialità tattili e cromatiche. Dalle aperture, dal terrazzo, la prospettiva cade sulle sculture più grandi che sorgono dalla terra del giardino e si fanno presenze significanti integrate nella natura, come è avvenuto nella splendida mostra del 2011 allestita dentro e fuori l’imponente rocca di Castel Pergine in Valsugana.
Al tema dell’antico è dedicata la serie delle Ri-archeologie, terrecotte dalle forme classiche intenzionalmente spezzate e ricucite insieme; poi la serie sulla casa, archetipo dell’abitare fin dalla preistoria, con le sue palafitte e terremare e con i volumi cubici e i tetti a falde, nidi chiusi e protetti che popolano l’immaginazione dei bambini; ancora, il tema delle tracce degli uomini nei paesaggi delle dolci colline emiliane, fino allo stagliarsi sorprendente, in mezzo a uno skyline ondulato, della Pietra di Bismantova.
“Graziano Pompili ha dato voce […] a un’idea dell’umana esistenza, che si è messa in viaggio dentro il mistero della vita e le asprezze del mondo con lo sguardo rivolto al futuro, ma con i piedi saldamente piantati dentro il proprio tempo, portandosi addosso, con il simbolo della casa e le esili tracce dell’antico, il fuoco inestinguibile della memoria, senza la quale ci si perde nel cammino della vita” (S. Parmiggiani).