“Dipingo quasi al buio, lascio accesa solo quella lampadina, vedi? Solo così è possibile rendere i chiaroscuri… a volte spengo anche quella luce e lavoro a lume di candela”.
Quei chiaroscuri inconfondibili sono l’“impronta digitale” delle opere di Andrea Saltini, sono le pennellate che danno espressività ai ritratti, l’atmosfera scura su cui si stagliano gli animali selvatici e i mostri. Niente colori, solo il bianco del gesso con cui prepara le tele secondo una tecnica antica, e il bolo nero: pigmenti pastosi, densi, perché per il pittore non è tanto importante il segno, ma la matericità e il gesto. Ne risulta una resa monocromatica dai contorni sfumati, lievemente sfocati, che fa pensare al “non finito”, all’espressione di un’azione su cui l’artista non ritorna mai con ulteriori interventi e da cui riesce a staccarsi rapidamente.
Di fronte a volti così enigmatici, a composizioni così equilibrate, gli chiedo qual è il ruolo del disegno nella sua modalità operativa. “Nessuno”, mi risponde. Il disegno è stato esercizio, è stato infanzia, è stato formazione. Ora Andrea Saltini lavora direttamente sulla tela con i suoi pennelli tagliati, con i bianchi e i neri, e sul supporto si materializza letteralmente un’immagine già formata nella testa dell’artista, e lo fa con impetuosità, con potenza e con impulsività non controllabile, quasi come a volersi liberare di una visione.
Saltini ha trascorso un periodo di apprendistato presso un ceramista di Faenza, ha studiato scenografia – perché attratto dalle grandi superfici da dipingere – ed è approdato infine alla dimensione della pittura, che ora gli appartiene completamente, e da cui è altrettanto completamente posseduto. Quanto ai soggetti, sono quelli preferiti fin da quando era bambino: le idee nascono spesso dal ricordo dei racconti di zia Delia, dalle storie strane, affascinanti e terrificanti della Bassa tra il Po e il Mincio, e si contaminano con la letteratura (Ofelia, tra tutti), con il teatro horror del Grand Guignol, ma richiamano anche personaggi fiabeschi, come nel caso della strepitosa serie su Hansel e Gretel. Ricorrenti sono i temi dell’acqua, di figure sessualmente ambigue, di adolescenti con bocca femminile su un volto maschile, di corpi abbandonati e assenti, di un confine tra la veglia e il sonno.
Indipendente e adorato dai suoi “collezionisti assatanati” che si contendono energicamente le nuove opere e non di rado ricoprono il ruolo di autentici mecenati finanziando nuovi progetti, Saltini ha all’orizzonte grandi prospettive: dopo la partecipazione alla 55a Biennale di Venezia del 2013 (padiglione del Costa Rica a San Stae) lo aspetta una residenza d’artista a Pavia, dove lavorerà sul tema della memoria – ancora la sua infanzia –, per poi iniziare un nuovo viaggio verso l’altra parte del mondo, verso Pechino.