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Approdato alla Terza (e Quarta) Età, dopo una vita trascorsa tra la numerosa famiglia, la professione e la vita pubblica, Corrado Truffelli si è lasciato catturare dal piacere di conoscere meglio la storia di quel piccolo lembo di terra, all’estremo limite sud-occidentale della provincia di Parma, dove gli è capitato di nascere.
Ha cercato di mettere in luce figure ed eventi sconosciuti ai più, a cominciare da lui stesso.
Ha così dedicato un saggio a un affascinante protagonista del Duecento, Ubertino Landi, che strutturò quel feudo ghibellino che resse per quattro secoli le valli del Taro e del Ceno, seguendo le tracce delle sue gesta fino a Firenze, Siena e Isernia; in un altro scritto ha richiamato le millenarie controversie di confine che hanno travagliato l’alta val Taro e di cui ancor oggi rimane traccia nel bizzarro snodarsi, in quel tratto, della linea di confine tra Emilia e Liguria.
Partendo dalla presenza di un monumento al Balilla, copia esatta dell’originale genovese, che sovrasta il Passo del Bocco, ha rievocato l’ultima battaglia della settecentesca Guerra dei Trent’anni che si combatté tra le valli del Taro, del Vara e dello Sturla, convergenti su quel passo, interrotta dal sopraggiungere dell’armistizio che avrebbe portato alla Pace di Aquisgrana.
Ha poi ripercorso la storia di un vasto tentativo di attività industriale, tra ricerca mineraria e sfruttamento della foresta, vissuto a Santa Maria del Taro tra l’ultimo quarto dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, accompagnato da uno straordinario confronto epistolare, ancora disponibile, tra l’imprenditore protestante ed il parroco del luogo, vero specchio del clima culturale, politico e religioso del tempo.
Il filone principale di ricerca è stato, tuttavia, riservato al plurisecolare drammatico fenomeno dell’emigrazione dalle sue valli, dedicandovi non soltanto testi scritti ma anche un sito (www.emigrazioneparmense.it) tuttora attivo.
Nell’ambito di tale ricerca, ha incontrato due figure, quasi coeve ma radicalmente diverse, che hanno particolarmente sollecitato la sua attenzione.
La prima è quella del borgotarese conte Ermanno Stradelli, che scelse di vivere (e morì) in Amazzonia, dove trascorse più di quarant’anni, percorrendone i fiumi e la foresta, conoscendo e amandone gli abitanti, di cui raccolse e descrisse la vita e i costumi, la lingua e le leggende.
La seconda è quella di Luigi Lucheni, povero bambino abbandonato, in rivolta contro un mondo di approfittatori e sfruttatori, tradito anche dalle istituzioni che avrebbero dovuto incarnare la Giustizia.
Anche in un recesso remoto di monti e di valli, di boschi e di villaggi sempre più abbandonati, "ci sono più cose in cielo e in terra" di quanto ci sia dato conoscere...