Il punto è: godere dell’eros e della capacità di suscitarlo nell’altro, oppure trascendere a un livello superiore di piacere, attraverso esso? Non si crea scrupoli la settima arte, che dalla notte dei tempi preferisce farsi beffe dei paletti imposti dai canoni letterari, sfruttando l’apparente chiarezza di trame già scritte per raccontare altro, o dell’eros, sì, ma spostando l’asticella dell’osabile più su. C’è un cineasta, Brian De Palma, del quale ancora ci chiediamo se sia più interessato all’horror, al thriller o al sesso, che mescola con perizia i primi con il terzo, dividendo il grande schermo in un’enorme scacchiera in cui far rientrare languidi corpi seminudi e calibro 38. La visione che ne deriva è a tal punto osmotica che lo spettatore non è più in grado di capire se l’effetto detonante della sua eccitazione provenga dalla pistola, dalla donna o dall’illusione di consesso erotico che insieme le due cose sono in grado di provocare. Il regista di Baltimorasa produrre questa magia in due pellicole straordinarie: Vestito per uccidere(1980) e Omicidio a luci rosse (1984). In Dressed To Kill, volutamente a doppio senso, dove to kill sta a significare ‘Per sedurre’, la cinepresa nella favolosa scena iniziale segue Angie Dickinson, mai così allusiva e inquietante, diventando la seconda pelle dei protagonisti, fra cui vi sono una donna e un giovane uomo impegnati a risolvere un misterioso e feroce omicidio. Ma l’ambiguità del film sta proprio nella possibilità di leggerlo in modo ambivalente: thriller erotico o film erotico dalle mille venature horror. Il sesso, desiderato, rifiutato e consumato c’è, ma è l’ossessione carnale del regista traslata nei suoi attori a rendercelo tangibile.
Bollato come pornografico all’epoca, e invece fulgido esempio del potere incantatorio del cinema, è Omicidio a luci rosse, nel quale la visione, per lo spettatore, diventa fumo negli occhi. Un attore di soft core sogna di fare l’amore con la bellissima vicina di casa ma entrambi si mettono nei guai. L’erotismo non è nel corpo esibito di Melanie Griffith o velato di Deborah Shelton, ma trasuda in ogni inquadratura, anche in quella più splatter, accarezzata, come per Dressed To Kill, dalle musiche di Pino Donaggio.
Crash(1996) di David Cronenberg rappresenta invece l’aberrazione a cui può giungere la bramosia sessuale. Il canadese si serve della macchina, interpretata come appendice del corpo umano, per scatenare nel giovane James Spader le più perverse pulsioni sessuali. E per quanto disturbante ci possa apparire, la scena di lui che accarezza la gamba tumefatta e cinta da fibbie d’acciaio dell’amante sprigiona una carica erotica indimenticabile.
Chicca del Festival di Cannes, dove vinse il premio della Giuria, è Carrington(1995) di Christopher Hampton, l’evoluzione sessuale di una pittrice, sposata a un intellettuale vecchio e omosex. È proprio l’intensa, seppur platonica, relazione sentimentale tra i due a scatenare in lei la ‘belva’ erotica a lungo trattenuta. Risultato? Avrà più amanti lei che la marchesa di Merteuil.
E dopo questa eccezione britannica al gruppo di allucinati cineasti, recuperiamo un grande classico per il finale. Il dialogo fra Eve Marie Saint e Cary Grant in una cuccetta per Chicago, in North by Northwest di Alfred Hitchcock. Ogni parola, movimento delle labbra dei due corrisponde a un lento, appagante atto sessuale. Che culmina, guarda un po’, nell’ingresso del treno in galleria.
Copertina: locandina di Dressed to kill