di Luana Cenci
In Asia Centrale, alla domanda su quale sia la sposa migliore, si risponde così: “quella che non può toccarsi le punte dei piedi per l’abbondanza ed il peso dei suoi gioielli”. Discendenti degli antichi Oghuz della Mongolia, i turkmeni erano nomadi bellicosi, opposti ai signori delle oasi, organizzati in gruppi che andavano da poche famiglie a migliaia di tende e vivevano in dimore chiamate yurte. Alle donne era affidata la continuità del clan e della tribù, depositarie della cultura e della credenza popolare; erano loro le guaritrici, e si confrontavano quotidianamente con la nascita, la malattia e la morte.
La grande abbondanza di gioielli indossati dalle donne era giustificata non tanto dalla vendita dei montoni astrakan e dai tappeti annodati, quanto dall’immensa ricchezza generata dal traffico umano: nel XIX secolo infatti le razzie tra gli abitanti dei villaggi in Iran ed in territorio kazako alimentavano i mercati di schiavi a Khiva e a Bukhara.
Di importanti dimensioni e peso, i gioielli rappresentavano un significativo investimento finanziario. Furono le donne infatti a pagare un pesante tributo alla guerra: un gran numero dei loro gioielli dovette essere fuso per pagare le indennità di guerra ai Russi all’epoca della conquista alla fine del XIX secolo.
I monili femminili non venivano considerati solo come oggetti di ornamento, ma anche come potenti talismani; la loro forma, la disposizione delle pietre, le proporzioni, la composizione e la decorazione comportavano un significato magico. Anche la scelta dell’argento non è casuale: secondo antiche credenze, esso ha infatti proprietà curative e protettive, mentre le pietre semi-preziose come il turchese, il corallo e la corniola, proteggerebbero dal malocchio il proprietario. La corniola era e rimane la pietra preferita, di colore rosso brillante (il colore della vita), creduta portatrice di abbondanza, felicità e pace per la casa, protegge chi la indossa da malattie e morte, creando legami indissolubili tra chi la dona e chi la riceve. I motivi decorativi sono depositari di valori simbolici di origine antica: le immagini più ricorrenti sono le corna di montone (forza e virilità), il pesce (fecondità), gli uccelli di carattere solare che si oppongono al serpente.
Dalla prima infanzia alla vecchiaia, le donne indossavano gioielli in argento. Amuleti, come campanelli d’argento e placche stampate di diverse forme rappresentavano i primi ornamenti per i bambini piccoli e venivano cuciti sugli abiti per proteggerli da malattie o malasorte. Il numero di gioielli posseduti da una ragazza aumentava con l’avvicinarsi dell’età da marito; e nel periodo tra il matrimonio e l’arrivo del primo figlio, la quantità indossata quotidianamente era straordinaria. Una volta che la sua fertilità era confermata, iniziava a diminuire la quantità di gioielli ricevuti e indossati.
Varie erano le tipologie di ornamenti indossati: articolati diademi da fronte per le donne sposate, complicate parure composte da diversi elementi uniti a formare gioielli per i capelli e per le tempie, collari e pettorali, bracciali ed anelli, amuleti e piccoli ciondoli da portare cuciti sugli abiti.
Le donne, più degli uomini, hanno arricchito la mitologia tribale con elementi tratti da varie fonti. In perenne movimento, da un posto all’altro, hanno portato con sé la loro storia che, tra aspre terre e vasti deserti d’erba silenziosi e selvaggi, ha assunto la forma di un mito.
Copertina: Ornamento femminile da treccia “Asyk”, XIX-XX sec., argento, doratura, corniola. collezione privata.