Suite in quattro parti
Quarta parte: Ecologia
Nell’albo n.44 di Alan Ford intitolato proprio Ecologia, nella seconda vignetta della tavola 64, un Bob Rock come al solito stizzito afferma “Ma che scemenza è la storia dell’ecologia? Lo studio dell’eco?”. La battuta non è così banale o gratuita come può apparire a un lettore dei nostri giorni, perché nell’ottobre del 1972 (data di uscita dell’episodio in questione) la maggior parte della gente ignorava il significato del termine ecologia. Infatti era abbastanza fresco di conio e non era girato ancora molto, soprattutto tra le fasce meno acculturate.
Tutti però sapevano benissimo cos’era l’inquinamento e cosa stava accadendo alla natura (la fondazione di WWF Italia era abbastanza recente). Nonostante questo si avvertiva il pericolo più come presagio di qualcosa che avrebbe dato i suoi nefasti frutti in un futuro non prossimo, e infatti così in genere lasciavano pensare i film di fantascienza incentrati sull’argomento.
Accadrà ai posteri, forse. E poi no, neanche a quelli, perché tanto lungo il corso dei secoli l’uomo diventerà saggio e smetterà di massacrare la natura e il pianeta. Questo era più o meno il sentimento corrente, imparentato strettamente al ben noto menefreghismo di cui tutti siamo portatori insani. Anche adesso, non solo ai tempi dei Genesis di Peter Gabriel. E infatti i risultati si possono benissimo vedere in tutto il loro “splendore”. Nei primi anni Settanta, fra le altre cose, vi fu l’agghiacciante e multicolore fioritura delle borse di plastica e di mille altre atrocità, sempre in plastica non biodegradabile. C’erano perfino le automobili di plastica, così se facevi un incidente morivi subito e ti toglievi il pensiero.
L’unico che riuscì a rendere simpatica una borsa di plastica fu Renato Pozzetto che la usò come inseparabile accessorio nella trasmissione Il poeta e il contadino, quando ancora lavorava con Cochi e con alcuni comprimari del calibro di Jannacci, Andreasi, Toffolo. E ancora non si era dato al cinema di plastica (non biodegradabile, non digeribile e non divertente).
Per associazione d’idee, Cochi e Renato mi conducono automaticamente al primo Villaggio e ad Alan Ford. Tutti quanti crearono praticamente dal nulla una nuova comicità, un nuovo stile umoristico ed influirono anche sul modo di parlare della gente. Il tutto era assolutamente italiano. Originalmente autarchico. Vera genialità nostrana, insomma. Non copiata e non importata.
Alan Ford, per quei due o tre “barboni” che ancora non lo sapessero, è nato dal pennello del disegnatore Magnus (Roberto Raviola) e dalla penna dello scrittore Bunker (Luciano Secchi). Dopo aver lavorato insieme per anni alle storie nerissime di Kriminal e Satanik (altri classici personaggi ideati da loro), a un certo punto i due autori decidono di creare finalmente il fumetto che in pratica sognavano di fare da tempo. Convincono l’editore Corno e di conseguenza nelle edicole appare finalmente Alan Ford.
Alan Ford fu un grande fiasco all’inizio (come sempre accade per tutte le cose nuove e in anticipo sui tempi). Grande successo poi. I primi 75 numeri entrano per sempre di diritto nell’olimpo del fumetto italiano, sia per i disegni di Magnus (che poi purtroppo abbandonerà), sia per la freschezza di idee e la pirotecnica verve di Bunker.
Con i n. 40 e 47 affrontano i temi legati all’inquinamento del pianeta: il già citato Ecologia e La minaccia di Aseptik. In entrambi gli episodi uno scienziato pazzo, Aseptik appunto, tenta di avvelenare la terra in modo da accelerarne la distruzione già abbondantemente iniziata dagli inquinatori. Si finge un paladino ecologico, mentre è esattamente il contrario. Le storie additano come principali responsabili dell’agonia del pianeta, e senza mezzi termini, gli industriali e le compagnie finanziarie avide di denaro e indifferenti verso tutto il resto. Magnus & Bunker qui non le mandano a dire, nel loro tipico modo “alanfordiano”, divertente e garbatamente anti intellettualistico.
(continua)