Non fotografare gli straccioni, i senza lavoro, gli affamati
Non fotografare le prostitute, i mendicanti sui gradini delle chiese, i pensionati sulle panchine solitarie che aspettano la morte come un treno nella notte
Non fotografare i neri umiliati, i loro orribili sogni. La società gli ha preso tutto, non prendergli anche la fotografia
Non fotografare chi ha le manette ai polsi, quelli messi con le spalle al muro, quelli con le braccia alzate,
perché non possono respingerti
Non fotografare l’imputato dietro le sbarre, che entra o esce di prigione,
il condannato che va verso il patibolo
Non fotografare il carceriere, il giudice e nessuno che indossi una toga o una divisa. Hanno già sopportato la violenza, non aggiungere la tua. Loro debbono usare la violenza, tu puoi farne a meno
Non fotografare il malato di mente, il paralitico, i gobbi e gli storpi. Lascia in pace chi arranca con le stampelle e chi si ostina a salutare militarmente con l’eroico moncherino
Non ritrarre un uomo solo perchè la sua testa è troppo grossa, troppo piccola, o in qualche modo deforme
Non perseguitare con il flash la ragazza sfigurata dall’incidente, la vecchia mascherata dalle rughe, l’attrice imbruttita dal tempo. Per loro gli specchi sono un incubo, non aggiungervi le tue fotografie
Non fotografare la madre dell’assassino e nemmeno quella della vittima.
Non fotografare i figli di chi ha ucciso l’amante e nemmeno gli orfani dell’amante
Non fotografare chi subì ingiuria: la ragazza violentata, il bambino percosso. Le peggiori infamie fotografiche si commettono in nome del “diritto all’informazione”
Se è davvero l’umana solidarietà quella che ti conduce a visitare l’ospizio dei vecchi, il manicomio, il carcere, provalo lasciando a casa la macchina fotografica
Non fotografare chi fotografa: può darsi che soddisfi solo un bisogno naturale
Come giudicheremmo un pittore in costume “bohémien” seduto con pennelli, tavolozza e cavalletto a fare un bel quadro davanti alla gabbia del condannato all’ergastolo, all’impiccato che dondola, alla puttana che trema di freddo, a un corpo lacerato che affiora dalle rovine?
Perché presumi che il costume da free-lance, una borsa di accessori, tre macchine appese al collo e un flash sparato in faccia possano giustificarti?
di Ando Gilardi (1921 – 5 marzo 2012)
Buon viaggio Aldo, fotografo “scalzo” ed eretico, studioso e storico; i tuoi libri mi hanno insegnato a guardare alla fotografia con occhi più maturi e per questo te ne sarò sempre grato. Impossibile non considerare il tuo pensiero per chiunque voglia avvicinarsi alla fotografia.