C’è una legge, anzi una Grande Legge, che lungo l’arco del tempo definisce con certezza scientifica il rapporto inscindibile che lega la dimensione dello spazio destinato alla cucina e quello destinato al bagno. La formula che illustra questo rapporto è la seguente: C + B = 100, ovvero la somma delle metrature della cucina e del bagno è una costante. Al crescere delle dimensioni dell’una, diminuisce quella dell’altro e viceversa: «questa legge regola tutta la storia dell’umanità e costituisce la base di un’ampia serie di sviluppi tecnologici e sociali che meritano la massima attenzione».
Paradossale? Sì, ma a ben vedere non così tanto. La scomparsa della cucina è infatti un divertissement nello stile dell’indimenticabile teoria della stupidità di Carlo Maria Cipolla: l’arguzia della provocazione, consistente nell’enunciazione di una serie di apodittiche dimostrazioni matematiche, è continuamente controbilanciata dalle osservazioni di comportamenti che ciascuno di noi, nella propria vita, può verificare come situazioni scontate e quotidiane. Situazioni che invece scontate non sono, come evidenzia questo scritto, teso a sviluppare e ad affinare il senso critico del lettore tramite l’estro stilistico e il ricorso frequente al nonsense.
Bisogna essere scrittori di vaglia per condurre questo gioco, che riesce solo quando il lettore si trova obbligato a staccare gli occhi dalla pagina nel dubbio che l’autore, dietro un eloquio impeccabilmente accademico, non lo stia invece menando per il naso. Ma non basta: bisogna anche saper padroneggiare con assoluta sicurezza la materia di cui si discute affinché le tesi presentate possano risultare del tutto credibili. John B. Dancer, l’autore de La scomparsa della cucina, possiede entrambe queste doti. Dietro questo pseudonimo infatti non si cela ma si svela la figura di un grande scienziato di caratura internazionale nell’ambito della zooantropologia e della storia dell’alimentazione, ovvero Giovanni Ballarini, ex presidente dell’Accademia Italiana della Cucina, che così avvisa il lettore: «come negli scherzi musicali, dove le note sono vere e tutto il resto è fantasia, anche in questo scherzo gastronomico solo le note sono vere: il testo per ora è solo immaginazione e, forse, la prefigurazione di un futuro più o meno probabile o auspicabile».
Il volume non risulta pregevole solo per il gustoso testo, ma anche per le fattezze più specificamente bibliologiche. Nulla è lasciato al caso: la copertina in tela Assuan, la grammatura della carta, l’impostazione grafica, tutto è pensato per il piacere del lettore, tutto si traduce in un prodotto di elevatissima qualità. Imperdibili le tavole davvero straordinarie di Cecilia Mistrali, evocatrici dei capolavori primitivisti del primo Novecento, nondimeno di tratto personalissimo.