Un divanetto zebrato e un manichino ricoperto d’oro, bottiglie di plastica schiacciate e barattoli di vetro vuoti. Ma soprattutto un flipper Explorer vintage, perfettamente funzionante: Nino Migliori ci gioca mentre io mi guardo attorno scattando qualche foto all’archivio, a quelle scatole nere e in perfetto ordine che contengono una vita d’artista. E prima di uscire dallo studio di Bologna una partita a pinball spetta anche a me, che rispolvero vecchi ricordi di trent’anni fa e ancor più arrugginiti riflessi.
Conoscere il lavoro di Nino Migliori vuol dire prima di tutto toccare con mano quella che è stata la storia dell’arte italiana nella seconda metà del Novecento: vuol dire percepire nettamente il salto che si è compiuto tra figurativo e astratto, tra realismo e informale. Perché Migliori iniziò a fotografare subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, in un momento in cui al centro dovevano stare necessariamente le persone, con il loro mondo che stava rapidamente e profondamente cambiando. Le serie più note di questo periodo sono Gente dell’Emilia, Gente del Sud, Gente del Delta, senza dimenticare gli scatti dell’amata Bologna, di Milano, delle periferie.
Ma è solo dei grandi la capacità di mettersi continuamente in discussione, di seguire le orme della propria curiosità con una voglia continua di cambiare registro, di abbandonare il sentiero più battuto per inoltrarsi nel nuovo. E Migliori, che è un tecnico della fotografia, che conosce non solo la macchina fotografica ma anche le carte sensibili, gli acidi e le luci, decide poi di sperimentare gli off camera: Cliché-verre, Cancellazioni, Ossidazioni, Pirogrammi, Stenopeogrammi nascono così, ed è emozionante sentirlo parlare delle sue invenzioni, dei suoi tentativi autenticamente rivoluzionari di utilizzare il mezzo fotografico per produrre immagini pienamente informali.
Mai uguale a se stesso e sempre attento al suo presente, è un artista che non si è mai scostato dalla contemporaneità: negli anni Settanta lavora sulla serie Muri, Make love not war e Natura morta; nel decennio successivo indaga il potere della televisione con Videografie, poi gli esperimenti con la Polaroid (sempre modificata, rielaborata, “pasticciata”) e negli ultimi decenni la fusione con il digitale, dove Migliori porta al limite le potenzialità della figura e ne stravolge i significati nonché la riconoscibilità.
Tra un forte senso della memoria e un’ironia sempre spiazzante, tra una sincera giocosità e una curiosità inarginabile, Nino Migliori non smette di stupirci, di appassionarsi e appassionarci in un viaggio la cui ultima, spassosissima, tappa è tra i barattoli dei sottaceti Polli.