La confezione del libro UNO firmato da Giampaolo Ricò è gialla, nera e rossa. Rimanda alle scatole di lastre di una nota marca: negativo colore 4×5”, un’immagine per volta, professionale, allestita, ricchissima di dettagli e toni di colore.
Sono fotografie di fiori, oggetti che compaiono subito nella fotografia anche quando non si chiamava ancora fotografia, nei disegni fotogenici di William Heny Fox Talbot prima della metà dell’ Ottocento – quasi erbari fatti di carta e sali d’ argento – e continuano a essere determinanti nella natura morta che si avvicina o si allontana dai generi codificati in pittura, nell’ornamento pittorialista art nouveau dei fotografi-grafici tra XIX e XX secolo, nella riflessione cubista e purista. Oggetto tanto presente quanto inafferrabile, evidente quanto metaforico, dalla scala paesaggistica en plein air alla dilatazione macroscopica più estraniata del dettaglio minimo. Celebre e abusato il motto di Gertrude Stein su ripetizione, straniamento, inafferrabilità del senso: a rose is a rose is a rose.
Ricò propone una doppia articolazione a questi ritratti di corolle: a ogni immagine accosta un brano autobiografico di atmosfere, riflessioni, incontri. Il collegamento tra l’immagine e il testo può apparire, a tratti, per contiguità: questi still life di illuminazione semplice potrebbero aver avuto luogo negli interni teatro delle occasioni e dei pensieri scritti, ma si capisce subito che non è così: i rimandi sono a volte metaforici, a volte affidati al colore, alla “recitazione” (proprio così) dei fiori, a volte proprio inafferrabili, invitano il guardatore/lettore a personali rimandi.
Vi è poi un’ ulteriore articolazione: non siamo di fronte ovviamente a un catalogo botanico e manca ogni unità nel trattamento, ma il ventaglio delle soluzioni si allarga come a coprire ampli tratti di storia delle immagini, a rivelare l’onnipresenza floreale nella fotografia. Certo, siamo a New York, e pensiamo agli algidi e sensuali Flowers di Robert Mapplethorpe, ma poi anche ai cataloghi fotografici di forme floreali di Karl Blossfeldt o alle sculture involontarie pubblicate da Salvador Dalì in Minotaure, 1934. L’ambito surrealista è sicuramente terreno d’elezione per Giampaolo Ricò: lo vediamo nelle immagini solarizzate come in Man Ray. La catena di associazioni è davvero inarrestabile; forse queste fotografie, questo libro, ci dicono, infine, che la bellezza non è tanto nell’oggetto, nella sua icona, nella situazione evocata e ricondotta a testimonianza, quanto nella possibilità di infinite relazioni tra noi e questi oggetti fragili, riportati e ricordati in immagine.