I capolavori del “periodo aureo”? Non cercateli nella mostra di Palazzo Reale a Milano: «Klimt, alle origini di un mito» espone – fra le altre – venti opere dell’artista provenienti dal Museo Belvedere di Vienna, ma poche di queste sono note al grande pubblico.
La prima sala è densa di promesse, sia per la bellezza delle lastre in rame sbalzato di Georg Klimt (la Ninfa e Satiro, o la Demetra adornata di vetri colorati) sia per l’approccio cronologico: notizie e immagini fotografiche sulla vita e sulla formazione di Gustav Klimt – iniziata a tredici anni alla Scuola Statale di Arti e Mestieri, dove imparò a padroneggiare tecnologie e motivi decorativi – ci introducono al mondo dell’artista.
Si passa quindi alla sala dedicata alla “Compagnia degli artisti”, società che condivideva atelier e committenze fondata nel 1881 da Gustav ed Ernst Klimt insieme a Franz Matsch; il gruppo lavorò per i teatri di Bucarest, Karlsbad, Fiume, Reichenberg, e si sciolse nel 1892 con la morte precoce di Ernst. La forza dei membri della Compagnia era nell’avere stili pittorici simili – particolarità che li rendeva quasi intercambiabili e in grado di soddisfare numerose richieste. Ma ecco, nell’aria iniziano a vibrare le note della Nona Sinfonia: arriviamo alla Secessione, con la copia fedele a dimensioni reali del Fregio di Beethoven (1902), corredata da un recente modello del Palazzo della Secessione di Vienna; proseguendo incontriamo la superba Giuditta II (o Salomé) del 1909 – siamo alla fine del “periodo aureo” – poi, con un cronologico passo indietro, arriva il momento che segna la nascita del personalissimo stile di Klimt, i pannelli per l’Aula Magna dell’Università di Vienna, iniziati nel 1899. Fu scandalo: decisamente “l’umanità dolente nel vuoto cosmico” non era il messaggio positivo che l’ateneo si aspettava dall’artista.
La mostra prosegue per sale tematiche: i paesaggi, dalle opere di chiara ispirazione impressionista fra cui spiccano Bosco di faggi e Dopo la pioggia; i ritratti, nei quali Klimt si rivela particolarmente abile; la famiglia – punto focale, il quasi espressionista Madre con due bambini del 1909-1910, anni di crisi creativa, volti pallidi su fondo buio fra il sonno e la morte. Il Girasole del 1907 è in bell’evidenza vicino ai ritratti, anch’esso probabile ritratto simbolico dell’amante/amica/complice di una vita, Emilie Flöge. Il percorso si conclude con (pochi) nudi, tre schizzi a matita e due opere, le ondine di Acque mosse del 1898 e l’Adamo ed Eva incompiuto del 1917-18.
Banconote, foto d’epoca, due teste grottesche di Ferdinand Andi davanti a Fuochi fatui (1903), un’onoreficenza, scritti, la rivista secessionista “Ver Sacrum” punteggiano la mostra arricchendola di curiosità. Esaustivi i testi dei pannelli; l’audioguida – punto spesso dolente – offre i commenti dello studioso Alfred Weidinger, vice direttore del Museo Belvedere, e dell’italiana Eva di Stefano, ben supportando la visita.
Mostra utile per approfondire l’epoca di Klimt, alla fine lascia con il desiderio di vedere qualcosa in più: ma gli appassionati di gadget avranno modo di consolarsi.