“Fai un solo, piccolo errore ed ecco che tutto il mondo ti crolla addosso!”. Il monito di Ivan Locke risuona potente e ineluttabile sulla strada a senso unico della vita. Una strada che egli stesso percorre in una notte gelida sulla sua BMW X5, unico spazio filmico della storia, in corsa verso le sue responsabilità, pronto ad affrontare le drammatiche conseguenze di una piccola crepa del passato che farà crollare le solide fondamenta della sua vita.
Questo è Locke, toccante dramma individuale che già nel titolo racchiude il tormento del protagonista. Sarà un caso che il cognome Locke suoni simile alla parola inglese lock, e cioè chiudere, stringere nella morsa? Certamente no.
Locke ha una famiglia felice ed è solido come il calcestruzzo di cui è uno dei maggiori esperti nel suo campo. La notte precedente alla più grande colata di calcestruzzo mai avvenuta in Europa, che Locke dovrebbe supervisionare, si trova di fronte alla scelta che può fare la differenza. Continuare la propria vita o scrollarsi di dosso la grigia polvere del calcestruzzo che copre la sua coscienza (e di cui lascia traccia dappertutto) per farsi carico delle proprie responsabilità, correndo da Beth, in procinto di partorire il frutto di un’unica notte insieme. Al semaforo scatta il verde. Locke non torna a casa, ma sceglie di andare incontro, impotente, al crollo del solido edificio della sua esistenza. Lungo il percorso, Locke dovrà rendere conto della sua scelta agli attori della sua vita unicamente attraverso il vivavoce del cellulare (che qui assume un ruolo drammaturgico fondamentale, facendosi emblema di un certo modo odierno di relazionarsi).
Steven Knight, sceneggiatore pupillo di Cronenberg (La promessa dell’assassino) e Frears (Piccoli affari sporchi), costruisce una drammaturgia intensa, dove tempo diegetico e narrativo quasi coincidono mentre Locke, in un viaggio della redenzione, mette a nudo l’umanità di un uomo tormentato dal proprio passato, deciso a porre rimedio ai suoi errori e scegliendo di accettare una pesante responsabilità, anche se ciò significa assistere allo stravolgimento radicale del proprio essere.
Un film essenziale, senza effetti speciali né popcorn di contorno (alla faccia di chi aveva già dato per spacciata la purezza di un certo cinema!). Un’esperienza visiva ed emozionale che si rifà al cinema delle origini, dove tutto si giocava sulla potenza del “primo piano”, qui magistralmente riproposta dal volto sempre più stravolto di un grande Tom Hardy, unico attore in scena in un dramma on the road che ci parla di responsabilità in un’epoca dove spesso la si fugge, per paura che l’edificio della nostra vita crolli sotto il peso delle nostre scelte.
Voto 7/10