Quando Charles Dickens visitò il Teatro Farnese di Parma, lo trovò in uno stato di abbandono: buchi nel tetto, legno fradicio, stracci slabbrati che pendevano, topi ovunque. Quella che fu la massima espressione dell’ambizione di Ranuccio I Farnese giaceva desolata, ombra di un passato che glorificava la dinastia e che, proprio per questo, i successori Borbone in un certo senso ripudiarono e lasciarono all’incuria; le sventure del teatro toccarono il culmine il 13 maggio 1944, quando fu gravemente colpito dai bombardamenti degli Alleati. Ora, restaurato, può considerarsi un vero e proprio monumento di un’epoca fastosa e complessa, non priva di misteri e contraddizioni.
L’idea di costruire un grande spazio stabile per le rappresentazioni scenografiche, come già si era fatto nelle più importanti corti italiane, originò dal desiderio del Granduca di Toscana, Cosimo II, di attraversare tutta l’Italia settentrionale per recarsi in pellegrinaggio alla tomba di San Carlo Borromeo a Milano, passando da Parma. Ranuccio I, alla ricerca di alleanze con i Medici finalizzate al matrimonio dell’appena nato figlio Odoardo, intraprese nel 1617 la costruzione di un teatro magnifico in cui accogliere il sovrano e cominciò subito i lavori, trasformando la Sala d’Armi della Pilotta inaugurata solo pochi anni prima.
Il duca affidò l’incarico al ferrarese Giovanni Battista Aleotti, detto l’Argenta: questi ideò una sala a U con gradinate dai parapetti decorati con sculture di amorini, pareti rivestite da una serie di due logge con medaglioni, dipinti di guerrieri all’antica, telamoni e figure femminili di Virtù, un soffitto raffigurante l’Olimpo e la gloria dei Farnese, ai lati del boccascena le due statue equestri degli antenati di Ranuccio – Alessandro e Ottavio – e, ancora più stupefacente, un palcoscenico con complesse macchine azionabili contemporaneamente che permettevano il cambio delle quinte ed effetti incredibili.
Nonostante i lavori procedessero – non senza difficoltà e litigi tra le botteghe dei pittori e con il passaggio dall’Aleotti a Enzo Bentivoglio come soprintendente della fabbrica – alla fine del 1618 si capì che Cosimo II non si sarebbe messo in viaggio. Il cantiere, già a buon punto, rallentò e si rianimò solo nove anni dopo, in vista delle nozze tra Odoardo e Margherita de’ Medici. Il teatro venne inaugurato il 21 dicembre 1628 con un’opera-torneo musicata da Monteverdi, Mercurio e Marte, che andò in scena con l’uso di 21 macchine, mostri marini, la cavea inondata per simulare una naumachia e un torneo con quattro quadriglie di cavalieri.
Non fu, tuttavia, l’inizio di una lunga serie di spettacoli: fino al 1732, per tutta l’epoca farnesiana, furono allestite solo otto rappresentazioni. A segnare la fine del Farnese come teatro fu la costruzione, voluta da Maria Luigia, dell’odierno Teatro Regio.