A un festival ci si va per scoprire talenti nuovi. È questa la sua mission. E per capire come i grandi di oggi sono stati influenzati dai geni di ieri. A volte le due finalità combaciano! Soprattutto se parliamo di ottimi cineasti americani ancora attivi che allora muovevano i primi passi. Intanto piangiamo l’appena scomparso Mike Nichols: suo Il Laureato. Al 32° Torino Film Festival ci siamo fatti una scorpacciata di classici inclusi nella rassegna New Hollywood II, seconda parte del progetto di riscoperta del cinema stelle e strisce a cavallo tra anni ’60 e ’70 promosso da Emanuela Martini. Sono tanti, tutti cult.
“Il cinema con cui siamo cresciuti in molti”, contrapposto al NAC (New American Cinema, quello dell’East Coast), parte dalla Storia, che negli Usa coincide con il West. Da qui si sviluppa una filosofia esistenziale che trova i suoi pilastri cinematografici nel road movie – invenzione dell’epoca – e nell’infrangersi del sogno americano. L’impeachement di Nixon, dopo il Watergate, segna la diffusione della paranoia. Tutti sospettano di tutti. In questa fase vengono prodotte ottime pellicole. Ne abbiamo selezionate una manciata.
Phantom of the Paradise (1974), di Brian De Palma. Dieci anni prima del musical di Webber, il film horror musicale del regista di Baltimora mescola Il Fantasma dell’Opera, il Faust di Goethe e Oscar Wilde (Il ritratto di Dorian Gray) per raccontare la metamorfosi in Phantom di un musicista tanto schivo quanto geniale al quale il perfido produttore Swan stronca la carriera.
Welcome to L. A. (1976) di Alan Rudolph. Aiuto regista di Robert Altman, ci regala una delle prime, disincantate rappresentazioni della città dei sogni e degli angeli. Fra le cento scene da antologia, il manager interpretato da Harvey Keitel che piange al telefono per riavere indietro almeno a Natale la moglie (Geraldine Chaplin) depressa e smarrita in casa d’altri.
Taking Off di Milos Forman (1971) ben descrive il disorientamento dei genitori Middle Class alle prese con figlie scomparse chissà dove e crisi di coppia. Il regista naturalizzato americano, scampato alla repressione della Primavera di Praga, mette al centro Lynn e Larry Tyne che nel tentativo di capire la figlia arrivano a rivolgersi alla Società Genitori Figli in Fuga, sperimentando la marijuana quale metodo di avvicinamento alle nuove generazioni.
Klute di Alan J. Pakula (1971) capolavoro della deriva paranoica – merita un genere a parte. Jane Fonda, premiata con l’Oscar nei panni di una prostituta di New York, respinge un detective privato di provincia (Donald Sutherland, sensibile idealista) che si mette sulle sue tracce per trovare il bandolo della matassa nel caso di un cliente scomparso. Non si vede, ma c’è un serial killer sulle loro tracce. Dialoghi scolpiti nella roccia, c’è più tensione nell’interno vuoto dell’appartamento della squillo Bree che in tutto Poltergeist.
Duel (1971). Il diavolo viaggia su due ruote e la mano che esce dal finestrino è la bocca dell’inferno. Un uomo solo, in auto sulla Mulholland con la sua valigetta, contro un mostro meccanico sputafuoco e polvere. Con questo film, definito uno Squalo a basso budget, Steven Spielberg insegna come si fa suspense ai giovani. JAWS arriva nel ’75.
Manca solo una domanda alla “prof” Martini: “Chi ha ereditato il testimone di Nichols and co.?” “Paul Thomas Anderson e Michael Mann. Vengono esattamente da laggiù”.